Impossibile pensare o aspettarsi che le parole spieghino il dolore del dramma familiare avvenuto a Nuoro. Si rabbrividisce solo a tentarci.
Giusi (43 anni), Martina (25), Francesco (10), Paolo (69) e Roberto (52). I loro nomi non sono un elenco, ma una storia interrotta, un’umanità negata e tradita. E sono tutti vittime. Anche Roberto, vittima di se stesso, del suo (forse) mal di vivere, che (forse) non amandosi ha voluto trascinare nel baratro della morte chi lo amava, come sua figlia che l’aveva indicato come “l’amore più grande della sua vita”.
Questa sconfitta dell’amore ne ricorda anche la sua fragilità, soprattutto quando, pur trovando posto nel nostro cuore, non riesce ad affrontare e a superare le prove della vita.
La tristezza e lo smarrimento che hanno raggiunto parenti, amici e opinione pubblica è evidente anche in tutte le comunità parrocchiali. E ci lascia molti interrogativi e qualche impegno, oltre alla preghiera. La violenza è una “presenza” che non va negata o rimossa, tantomeno banalizzata. Al contrario va riconosciuta, narrata, denunciata. Parliamone in famiglia e in comunità, come nella scuola. Non sorvoliamo con facilità sulle parole e sui gesti che potenzialmente possono diventare tossici. Rivelerebbe che non abbiamo occhi per vedere quante relazioni, anche le più intime, rischiamo di diventare un problema sociale. Occorre continuamente riconciliarsi, costruire alleanze educative, rapporti di stima vicendevole, d’amore, di libertà, di reciprocità.
+ Antonello Mura
Vescovo di Nuoro