Torpè, tra inquietudini del presente e incertezze sul futuro
di Matteo Marteddu
Quel blu intenso sopra monte Nurres, orizzonti di un’estate intensa qui a Torpè. Ma a monsignor Marcìa, il 10 settembre, inizio della Visita pastorale, arriverà l’eco del sinistro rombo di tuono e di detriti che sconvolsero il paese tra il 2013 e il 2015. Camminerà su lastricati silenziosi il Vescovo, scolpiti dai raggi del sole in una stagione che produce ancora speranze magari solo per lavori precari e stagionali. Ma è difficile non aggrapparsi a quello che passa il convento. Certo di rimbalzo dalle coste di Posada, Orosei, San Teodoro e Olbia, ma che possono fare i giovani se il lavoro ormai, qui come altrove, ha il sapore beffardo di promesse tradite o di sfocati miraggi agostani! Lo sa bene don Giuseppe, Peppeddu, Zizi, orunese, parroco dalle non più verdi primavere, in questa comunità dal novembre del 1996. Si esprime con l’angoscia di chi non sembra possa intravedere l’uscita dal tunnel per le generazioni nuove: «Per i giovani senza lavoro – sospira – tutto diventa opaco, scuro. Neanche la Chiesa è più riferimento, non partecipano. Li avvolge e li anestetizza il disincanto. L’alluvione, la goccia che ha fatto traboccare il vaso», e lo dice senza un filo di ironia. Lo hanno ancora negli occhi e nel cuore l’alluvione, a far tremare i polsi. Lo sanno che quando l’acqua arriva dalle montagne, Bitti, Alà dei Sardi, la diga Maccheronis non è più argine generoso, diventa minacciosa, tutto si infrange sui torrioni di cemento. Ed esplodono il Rio Mannu, Rio Altana e Rio Sas Pruneddas, per 50 chilometri, verso il mare e la diga diventa quel mostro di ferraglie che genera il serpente impazzito. Da Santu Martine, quell’anno non lontano, ha cancellato asfalti, eroso campagne, seminato nuove povertà. Così come dai tornanti verdi di monte Nurres, il luogo delle oscure voragini, il tor- rente che per secoli scendeva nel suo alveo, si vendica in questi tempi, per essere stato “tombato”, imbrigliato, fatto prigioniero dentro scavi, e urbanistiche azzardate. La natura non condona, condanna. E fiumi impazziti si abbatterono su rioni periferici, “Orgosoleddu”, case popolari.
Accarezzavano un tempo, le acque di Nurres, i vicinati della Torpè che cresceva ordinata, rispondendo ai bisogni reali, da Jaga Ezza, a Serr’e Pane, da Trainu a Preda Jana, a Villanova. Negli ultimi decenni del Novecento un’altra storia è stata scritta. Sarà anche per questo e per il futile sfilare di istituzioni lontane, che in quel frangente don Zizi se ne guardò bene dal partecipare ai cerimoniali in Municipio. Si va avanti, in un paese quasi sospeso tra la sua antica vocazione agricola e pastorale e le inquiete stagioni del turismo. Il mare dista qualche kilometro, anche le nuove architetture si sono adeguate alla domanda di casa che arriva da fuori, tipologie da costa, archi e balconate. E la brezza da Sa Tiria anche qui si mostra generosa. Il paese scruta nuovi orizzonti per sfuggire al morso della crisi. In periodi antichi la comunità torpeina godeva, come scrive Vittorio Angius, di un crescente sviluppo. Ricchezze del territorio, pianure fertili e pascoli sconfinati, nei salti di Brunella, Talavà e Su Cossu. Poteva permettersi di accogliere i “migranti” da villaggi vicini, come Sullai, sradicati dalle pestilenze. Ed erigeva chiese, San Nicola, San Benedetto, San Martino, Santa Vittoria, Santa Restituta. Ci son voluti due secoli, dopo il ’500, per erigere a chiesa centrale la Vergine degli Angeli, attorniata dalla Purissima, Sant’Elena e Sant’Antonio da Padova. Le 250 famiglie in quei secoli del Medioevo hanno spesso rischiato di soccombere sotto gli attacchi saraceni. Volevano trasferirli attorno alle mura protettive del castello di Posada. Le genti si tennero strette, nella loro identità, aggrappate alle chiese di Santa Maria e San Nicola, identità mai scalfita, scolpita nelle chiese, nel centro storico, nella maestosità del nuraghe “San Pietro” e nelle domus de janas de “Predas Ruias”.
E si tengono stretta la loro storia, in un tramonto di colori e suggestioni, le frazioni di Brunella, Talavà, Su Cossu, Sos Rios e Concas. Ogni anno si stringono al fuoco di Sant’Antonio, in una festa di popolo, con i carri addobbati, a nave, carichi di legna e di sogni di riscatto. Quello che cercavano intere generazioni migranti in Europa negli anni Settanta e Ottanta. Tentano di tornare. Prevale spesso la cocente delusione. Mariolino Mulas, nel ’78 in Germania, artigiano: «Troppo forte la voglia di paese. Troppo lacerante la delusione osservando qui, come in Italia, la parabola del declino. Superato il Brennero o il Gottardo, vedi un’altra Europa, debole, scarsi diritti, sofferenza e incertezza. Aspetto la pensione e me ne vado all’estero ». L’ex emigrato, battezzato dall’allora parroco don Rosario Menne, conosceva un altro paese. Racchiude nella sua inquietudine domande non solo sue. Hanno quella forza dirompente che solo le donne riescono a trasmettere. Piera Contu, Giovanna Porcheddu, mamme coraggio a Torpè, tutte casa, figli, azioni di solidarietà concrete costanti. Dai loro volti e dagli occhi limpidi si coglie la voglia di non mollare. Animano l’associazione “Santu Torpè”, volontariato Caritas, banco alimentare: «Consentiamo una vita dignitosa – dice Giovanna, due figli – a 35 famiglie di Torpè, sosteniamo gli immigrati che si presentano da noi. Siamo in costante raccordo con la Caritas nuorese, ci mettiamo del nostro, scomodiamo spesso, e lo fa volentieri, il portafoglio magro di don Zizi. Guardiamo con molta attenzione ai padri di famiglia che la crisi fa sbandare. Occhio ai giovani, sempre più lontani dalla vita parrocchiale». «Giovani – si accalora Piera, tre figli, due gemelle – il non lavoro è la piaga che sconnette cuore e cervello. Dobbiamo inseguirli i giovani, sul loro terreno. Dobbiamo sradicare l’abbandono scolastico, scatenare l’orgoglio di cultura e solidarietà». Grinta e convinzione profonda, scuotono col loro impegno, la comunità sonnacchiosa: «Aspettiamo molto dalla visita del Vescovo. Che entri nel profondo delle famiglie, quelle colpite da lutti, malattie, alluvione. Che le sue parole squarcino la dura scorza dell’indifferenza giovanile ». In un’estate che va via, gridano alla speranza. La resa non appartiene a loro.
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Il programma
- Domenica 10 settembre
ore 10: Inizio della Visita pastorale, Cresime - Lunedì 11 settembre
Ore 8: preghiera delle Lodi
Ore 8.30-11.30: Vista ai malati
Ore 15.30: Visita al cimitero
Ore 17.30: Santo Rosario
Ore 18: Santa Messa
Ore 19: Incontro con i gruppi ecclesiali nel salone parrocchiale - Martedì 12 settembre
Ore 8: Preghiera delle Lodi
Ore 8.30 – 11.30: Visita ai malati
Ore 15.30: Visita ai malati
Ore 17.30: Santo Rosario
Ore 18: Santa Messa
Ore 19: Incontro con le società sportive (calcio, tennis, pesca) - Mercoledì 13 settembre
Ore 8: Preghiera delle Lodi
Ore 9.30: Visita al Cantiere forestale
Ore 15.30: Visita a Concas
Ore 17.30: Santo Rosario
Ore 18: Santa Messa
Ore 19: Coro Baronia - Giovedì 14 settembre
Ore 15.30: Adorazione – Confessioni
Ore 17.30: Santo Rosario
Ore 18: Santa Messa
Ore 19: Comitato Sant’Antonio – Sa Dea – Comitato Villanova - Venerdì 15 settembre
Ore 8: Preghiera delle Lodi
Ore 9 – 11: Visita alle scuole
Ore 16.30: Visita al Comune
Ore 17.30: Santo Rosario
Ore 18: Santa Messa - Sabato 16 settembre
Ore 8: Preghiera delle Lodi
Ore 9.30: Incontro con i pastori e gli agricoltori