“Lunghe muriccie in rovina, casupole senza tetto, muri sgretolati, avanzi di cortile e di recinti, catapecchie intatte più melanconiche degli stessi ruderi fiancheggiano le strade in pendìo selciate al centro di grossi macigni; pietre vulcaniche sparse qua e là dappertutto dànno l’idea che un cataclisma abbia distrutto l’antica città e disperso gli abitanti; qualche casa nuova sorge timida fra tanta desolazione, e piante di melograni e di carrubi, gruppi di fichi d’India e palmizii dànno una nota di poesia alla tristezza del luogo. Ma a misura che Efix saliva questa tristezza aumentava, e a incoronarla si stendevano sul ciglione, all’ombra del Monte, fra siepi di rovi e di euforbie, gli avanzi di un antico cimitero e la Basilica pisana in rovina.”
Grazia Deledda, Canne al vento, Ilisso, 2005, p.37-38
Quella che Grazia Deledda in Canne al vento definisce “basilica pisana” è la chiesa di S. Pietro, risalente all’XI secolo.
È probabile che questa chiesa fosse già presente al momento della fondazione della diocesi di Galtellì nel periodo basso medievale. Inizialmente, la modesta chiesa di San Pietro fu utilizzata come cattedrale in attesa della costruzione di una struttura più idonea.
I lavori per la costruzione di una cattedrale di dimensioni maggiori ebbero inizio intorno al 1090. Purtroppo, questi lavori non vennero mai portati a termine e si interruppero forse nel 1138, quando la diocesi di Galtellì divenne suffraganea dell'arcidiocesi di Pisa. Di quella che doveva essere la chiesa madre della diocesi, oggi rimane solamente un tratto del prospetto absidale, che è stato inglobato nel muro di cinta del cimitero.
La piccola chiesa di San Pietro continuò a svolgere la funzione di cattedrale fino al 1495, quando la diocesi di Galtellì fu incorporata nell'arcidiocesi di Cagliari (come suffraganea di quest'ultima verrà ricostituita nel 1779 con sede a Nuoro).
La chiesa di San Pietro si presentava originariamente a navata unica. Nel XIII secolo le pareti laterali e la controfacciata vennero impreziosite da un ciclo di affreschi, parzialmente andato perso in seguito all'aggiunta delle navate laterali, operata probabilmente intorno al XV secolo.
Il tempio è affiancato da una tozza torre campanaria cuspidata che sorge staccata dal corpo dell'edificio. Quest'ultimo si presenta internamente a pianta rettangolare, diviso in tre navate, con due cappelle sul lato sinistro e una a destra. L'abside è a pianta quadrangolare, affiancata da due cappelle ai lati.
Come accennato sopra, le pareti laterali e la controfacciata presentano i resti di un ciclo di affreschi, uno dei pochi e più completi (insieme agli affreschi della basilica di Saccargia) cicli affrescati di epoca medievale presenti in Sardegna. Le scene dipinte rappresentano episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento e presentano importanti connessioni con i cicli pittorici presenti nell'area umbro-romana dell’ XI e XII secolo.
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“Ma ella stendeva bene la coperta e pareva s'indugiasse a contemplare il panorama a destra, il panorama a sinistra, tutti e due d'una bellezza melanconica, con la pianura sabbiosa solcata dal fiume, da file di pioppi, di ontani bassi, da distese di giunchi e d'euforbie, con la Basilica nerastra di rovi, l'antico cimitero coperto d'erba in mezzo al cui verde biancheggiavano come margherite le ossa dei morti; e in fondo la collina con le rovine del Castello.”
Grazia Deledda, Canne al vento, Ilisso, 2005, p.41
Il ciclo pittorico della Chiesa di San Pietro di Galtellì
Il ciclo di affreschi nella cattedrale di San Pietro è un'opera divisa in tre parti distinte, fisicamente separate tra loro ma intimamente collegate attraverso un programma iconografico ben definito. Pur estendendosi principalmente su due livelli, ci sono indizi che suggeriscono l'esistenza di un terzo registro, anche se di esso rimane ben poco.
La parete destra della cattedrale è dedicata alle storie dell'Antico Testamento, principalmente tratte dal libro della Genesi. Queste rappresentazioni ci offrono un'immersione nelle vicende dell'antica storia biblica, con particolare enfasi su episodi significativi come la Creazione dell’uomo o le scene del Peccato originale e della Cacciata dal Paradiso terrestre.
Nella parete sinistra, invece, si dipana il racconto della vita di Cristo, con scene che catturano momenti chiave della sua esistenza e della sua missione. Questa parte della cattedrale ci porta al cuore del cristianesimo, offrendo una raffigurazione visiva degli avvenimenti legati alla vita di Gesù come l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi, Battesimo di Cristo, alcuni dei Miracoli di Cristo, la Crocifissione.
La parete di controfacciata, purtroppo danneggiata in modo sostanziale, costituisce una sfida interpretativa più complessa. La comprensione e l'interpretazione di tali opere rimangono una sfida importante per gli studiosi dell'arte e della storia religiosa.
Nel romanzo "Canne al Vento" di Grazia Deledda, si fa spesso riferimento alle decorazioni presenti nella cattedrale. Queste decorazioni sono descritte come "antichi quadri", probabilmente facendo riferimento ai pannelli che compongono un retablo, un'opera d'arte religiosa composta da pannelli dipinti o scolpiti. In un'occasione, il romanzo menziona anche "dipinti che decoravano le pareti". Tuttavia, è improbabile che si riferisca agli affreschi attuali, che nel corso dei secoli hanno subito danni e perdite significative.
BIBLIOGRAFIA
Antonio Cambedda, L’architettura militare e religiosa a Galtellì dal Medioevo all’Ottocento, Edizioni Solinas, Nuoro, 1995.
Alberto Virdis, Gli affreschi di Galtellì. Iconografia, stile e committenza di un ciclo pittorico romanico in Sardegna, Condaghes, Cagliari, 2011.
Neria De Giovanni, Il Cammino di Efix tra i luoghi di Canne al vento, Edizioni Nemapress, Alghero, 2013.
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“La basilica cadeva in rovina; tutto vi era grigio, umido e polveroso: dai buchi del tetto di legno piovevan raggi obliqui di polviscolo argenteo che finivano sulla testa delle donne inginocchiate per terra, e le figure giallognole che balzavano dagli sfondi neri screpolati dei dipinti che ancora decoravano le pareti somigliavano a queste donne vestite di nero e viola, tutte pallide come l’avorio e anche le più belle, le più fini, col petto scarno e lo stomaco gonfio dalle febbri di malaria.”
Grazia Deledda, Canne al vento, Ilisso, 2005, p.45