È stato ribattezzato “il marchio della vergogna” quello apposto sulle case dei cristiani a Mosul, in Iraq, dai fondamentalisti musulmani sunniti dell’Isis. È una “N”: N come Nazareno, cioè cristiano. È divenuto in queste settimane il simbolo della persecuzione attuata su larga scala contro i crstiani non solo in Medio Oriente ma in tutto il mondo. Il prossimo 15 agosto la Chiesa italiana, su iniziativa della Cei, pregherà per tutti i cristiani perseguitati.
«Quella “N” – ha scritto il direttore di Avvenire Marco Tarquinio – la portiamo anche noi, con disarmato e dolente orgoglio, con consapevole partecipazione alla sorte delle donne e degli uomini cristiani di Mosul e di ogni altro perseguitato a ragione della propria fede. Questo è il giorno giusto per dirlo, e – speriamo – non da soli. Perché quella “N” la portiamo nell’anima, nel cuore, sulla pelle, e non come una cicatrice amara o una bandiera di guerra, ma come l’inizio di una parola di fraternità e di libertà. […] Vorremmo anche riuscire a dire – prosege Tarquinio nel suo editoriale – che quella “N” non è soltanto una ferita profonda. È un’eco dura e potente della Croce di Cristo in una terra vicina e lontana, come ormai tutte le terre del mondo, come le tante, troppe terre che per i cristiani continuano a essere, ma mai prima così intensamente, terre di quotidiano martirio.
Quella “N” è la conferma di una promessa impressionante e difficile, di una speranza che sfida le logiche e le paure degli uomini e delle donne di ogni tempo. È una frazione esigente e splendente di ciò che Gesù annuncia a chi l’incontra e si lascia toccare e cambiare dalla verità dell’incontro: «Beati voi – sta scritto nel Vangelo di Luca (6,22) – quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo».
Quella “N” incisa per infamare e per depredare, per umiliare e per esiliare può allora aiutare tutti – ma proprio tutti – ad aprire gli occhi, a ritrovare la voce, ad agire senza esitazioni, per umanità contro la prevaricazione e la persecuzione degli inermi. Quella “N” – conclude – vuole essere e, infatti, sembra un sigillo di dominio e di morte, ma può essere convertita nel principio di una frase antica e nuova: nessuno aggredisca il fratello, nessuno su di lui commetta ingiustizia». (Leggi tutto sul sito di Avvenire)
Ma infondo a quanti, in Europa e in Occidente, importa davvero della sorte dei cristiani? – si è chiesto Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera. Riportiamo ampi stralci del suo editoriale.
«Quante risoluzioni i Paesi occidentali hanno presentato all’Onu riguardanti la loro sorte? Quanti milioni di dollari hanno chiesto alle agenzie delle Nazioni Unite di stanziare a loro favore? Sono ormai anni – scrive Galli – che la strage continua, quasi quotidiana […] e sempre nel silenzio o comunque nell’inazione generali.
I due principali motivi di questa vasta indifferenza sono ovvi. Il primo è che sempre di più stentiamo a sentirci, e ancor di più a dirci, cristiani. Non si tratta solo della semplice perdita della fede, che pure naturalmente conta. È questione di quanto ci sta dietro. Un paio di secoli di pensiero critico laico, soprattutto la sua gigantesca volgarizzazione/banalizzazione resa possibile dallo sviluppo dei mass media, hanno sottratto al Cristianesimo, agli occhi dei più, la dignità socio-culturale di una volta. Da tempo essere e dirsi cristiani non solo non è più intellettualmente apprezzato, ma in molti ambienti è quasi giudicato non più accettabile. Il Cristianesimo non è per nulla «elegante», e spesso comporta a danno di chi lo pratica una sorta di tacita ma sostanziale messa al bando. L’atmosfera culturale dominante nelle società occidentali giudica come qualcosa di primitivo, al massimo un «placebo» per spiriti deboli, come qualcosa intimamente predisposto all’intolleranza e alla violenza, la religione in genere. In special modo le religioni monoteistiche. In teoria tutte, ma poi, in pratica, nel discorso pubblico diffuso, quasi soltanto il Cristianesimo e massimamente il Cattolicesimo, ad esclusione cioè del Giudaismo e dell’Islam: il primo per ovvie ragioni storico-morali legate (ma ancora per quanto tempo?) alla Shoah, il secondo semplicemente per paura. Sì, bisogna dirlo: per paura.
L’Europa ha paura, ed è questo il secondo motivo dell’indifferenza di cui dicevo prima. Ha paura dell’Islam arabo, del suo potere di ricatto economico non più legato soltanto al petrolio ma ormai anche ad una straordinaria liquidità finanziaria. Al tempo stesso, e soprattutto, ha paura del terrorismo spietato, delle tante guerriglie che all’Islam dicono di ispirarsi, della loro feroce barbarie, così come dei movimenti di rivolta che periodicamente agitano nel profondo le masse di quel mondo, sempre pervase di una suscettibilità facilissima ad accendersi e a trascendere in un’accanita xenofobia. […]
Ma che ne sanno di tutto questo i cristiani delle antichissime comunità di Mosul o di Aleppo, tutti gli altri sparsi dall’Africa all’India? Che cosa possono saperne? A questo punto, immagino, essi hanno solo capito la verità che per loro conta: e cioè di avere ben poche speranze se sperano in un aiuto che venga da qui. Dei cristiani e della loro religione all’Europa attuale importa sempre di meno. Si può essere certi che ogni intervento a loro favore sarebbe subito giudicato inammissibile, indebitamente discriminatorio, colpevolmente lesivo di qualche diritto all’eguaglianza di tutti rispetto a tutto. E sia.
Ma Dio non voglia che questo non sia che un inizio: l’inizio di qualcosa di cui proprio in questi giorni non mancano i segni premonitori. In un’Europa pervasa dalla secolarizzazione, in un’Europa le cui fonti spirituali si vanno rapidamente inaridendo per il disprezzo dovunque decretato a ogni umanesimo, non può che stabilirsi un rapporto fatalmente necessario, infatti, tra l’indifferenza verso il Cristianesimo e l’antisemitismo. È la medesima indifferenza per ciò che non può essere espresso dai numeri, per ciò che viene dalla profondità dei tempi e dei cuori e che si agita nel buio delle anime: osando guardare in alto, più in alto di dove arriva lo sguardo umano». (Leggi tutto sul sito del Corriere della Sera)