L’identikit del prete secondo Francesco

Il Giubileo dei sacerdoti 

 

Sa includere, si sporca le mani perché «non conosce i guanti», non ha un «cuore ballerino» ma trafitto dall’amore per il Signore e per la gente e saldo in Dio. Non è un «ispettore del gregge» o un «ragioniere dello spirito», ma un buon pastore sempre in cerca delle sue pecore per le quali, talvolta, sa anche «lottare con il Signore». A tracciare l’identikit del «sacerdote secondo Gesù» è papa Francesco, nell’omelia della Messa celebrata questa mattina sul sagrato della Basilica Vaticana a conclusione del Giubileo dei sacerdoti e dei seminaristi.
Nella solennità del Sacro Cuore di Gesù, il Papa ricorda che il cuore del Buon pastore «è la misericordia stessa, non si stanca e non si arrende mai». Un cuore «proteso verso di noi, “polarizzato” specialmente verso chi è più distante; lì punta ostinatamente l’ago della sua bussola, lì rivela una debolezza d’amore particolare, perché tutti desidera raggiungere e nessuno perdere». Davanti al Cuore di Gesù «nasce l’interrogativo fondamentale della nostra vita sacerdotale: dove è orientato il mio cuore? Domanda che noi sacerdoti dobbiamo farci tante volte: ogni giorno, ogni settimana».
Due, secondo il Papa, i tesori insostituibili del Cuore di Gesù: «Il Padre e noi». Anche «il cuore del pastore di Cristo conosce solo due direzioni: il Signore e la gente». Il cuore del sacerdote, scandisce Francesco, «è un cuore trafitto dall’amore del Signore; per questo egli non guarda più a se stesso, non dovrebbe guardare a se stesso, ma è rivolto a Dio e ai fratelli. Non è più “un cuore ballerino”, che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni; è invece un cuore saldo nel Signore, avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli».
Cercare, includere, gioire: queste, per Francesco, le tre parole-chiave. Il buon pastore, spiega, va in cerca della pecora perduta «senza farsi spaventare dai rischi; senza remore si avventura fuori dei luoghi del pascolo e fuori degli orari di lavoro e non si fa pagare gli straordinari». «Talvolta – aggiunge a braccio – deve uscire a cercarla, parlare, persuaderla, altre volte deve rimanere davanti al tabernacolo lottando con il Signore per quella pecora».
Il suo cuore «non privatizza i tempi e gli spazi – guai ai pastori che privatizzano – non è geloso della sua legittima tranquillità, e mai pretende di non essere disturbato». Il pastore secondo il cuore di Dio «non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno. È un pastore, non un ispettore del gregge».
Per questo «non solo tiene aperte le porte, ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare. Come ogni buon cristiano, e come esempio per ogni cristiano, è sempre in uscita da sé», è «un de-centrato da se stesso, centrato solo in Gesù».
Per Francesco, il sacerdote di Cristo «è unto per il popolo, non per scegliere i propri progetti, ma per essere vicino alla gente concreta che Dio, per mezzo della Chiesa, gli ha affidato. Nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso. Con sguardo amorevole e cuore di padre accoglie, include e, quando deve correggere, è sempre per avvicinare; nessuno disprezza, ma per tutti è pronto a sporcarsi le mani. Il buon pastore – aggiunge a braccio – non conosce i guanti».
Ministro della comunione «che celebra e che vive, non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni. Con pazienza ascolta i problemi e accompagna i passi delle persone, elargendo il perdono divino con generosa compassione. Non sgrida chi lascia o smarrisce la strada, ma è sempre pronto a reinserire e a ricomporre le liti». «È un uomo – chiosa fuori testo – che sa includere».
E se Dio è «pieno di gioia», lo è anche il buon pastore, «trasformato dalla misericordia che gratuitamente dona», ripete due volte Francesco. Nella preghiera «scopre la consolazione di Dio e sperimenta che nulla è più forte del suo amore. Per questo è sereno interiormente, ed è felice di essere un canale di misericordia, di avvicinare l’uomo al Cuore di Dio. La tristezza per lui non è normale, ma solo passeggera; la durezza gli è estranea».
Dal Papa un ringraziamento personale ai presbiteri presenti: «per il vostro sì’ e per i tanti sì nascosti di tutti i giorni che solo il Signore conosce a donare la vita uniti a Gesù: sta qui la sorgente pura della nostra gioia».
La Messa ha concluso il Giubileo dei sacerdoti e dei seminaristi (1-3 giugno) al quale hanno partecipato oltre 6mila preti e seminaristi da tutto il mondo e che ha avuto come filo conduttore la misericordia. «Inaudito straripamento d’amore» e sempre «esagerata, eccessiva», la ha definita il Papa declinandola con vigorosa intensità e accenti diversi nell’inedita “maratona spirituale” proposta in tre tappe al ritiro spirituale dei sacerdoti nelle basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura.

© Agenzia Sir

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