L’omelia pronunciata dal Vescovo Antonello in Cattedrale domenica 17 ottobre in occasione dell’apertura del Sinodo universale nella Chiesa diocesana.
Nella stessa celebrazione il Vescovo ha ordinato il diacono Rosario Mesina.
Il protagonista di oggi, come sempre, è lo Spirito Santo. È il giorno dell’apertura in tutto il mondo del cammino sinodale e, per noi, scelta non casuale, coincide con l’ordinazione diaconale di Rosario. Uno Spirito che è sempre all’opera, dono del Risorto per la nostra vita, dono che va al di là della Chiesa stessa, ma che per noi credenti è continuo appello a recuperare lo sguardo giusto per vederlo presente come portatore di buone notizie per l’umanità, a prescindere e, in alcuni casi, nonostante la Chiesa stessa.
Mi chiedo in che modo ci possono aiutare le Letture di questa domenica, nelle quali – nel brano del Vangelo – due discepoli, Giacomo e Giovanni, due come noi che seguono il Signore, si ritrovano a non capire la logica di quel Gesù che pure chiamano Maestro. Sono discepoli che sono afflitti – ma guariranno! – dalla ricerca della visibilità e dei primi posti, dalla voglia di privilegi e dalla tentazione sempre in agguato di stare accanto a chi detiene il potere. Pur avendo ascoltato le parole di Gesù, che confida la sua angoscia davanti alle prospettive di morte che si fanno sempre più concrete, i discepoli sono preoccupati del loro futuro, impegnati a scegliere chi dovrà sostituire il Maestro quando non ci sarà più. Noi tutti, fin da piccoli, dobbiamo fare i conti con un’educazione che a tutti i livelli genera nella vita quotidiana l’idea che il potere sia la cosa da cercare e da perseguire: in famiglia, a scuola, negli ambienti di lavoro e negli scenari politici e istituzionali, ma anche nelle comunità parrocchiali; ognuno ricerca un privilegio e un compito che gli possa permettere di soddisfare la sua sete di potere. In questi casi gli altri sono avversari, rivali o concorrenti, e la stessa vita diventa un’eterna gara, lasciando però sul terreno – dopo aver avvelenato i pozzi – solo molte frustrazioni, soprattutto quando si constata che non si è arrivati alla meta desiderata. Gesù ridicolizza i due discepoli, ci ridicolizza tutti, dicendo: Voi “non sapete quello che chiedete!”. Voi, cioè, non capite nulla del vostro Maestro e Signore, perché sono io il primo a farmi servo, e non ho dei piedistalli da offrirvi, ma solo il trono della croce dove, non a caso, alla destra e alla sinistra figurano due malfattori. Solo con Gesù si capisce in che cosa consista la vera gloria, ed è con lui accanto che emergono tutte le caratteristiche della nostra vana-gloria. Lui continua ad ascoltare le nostre opinioni su come dovrebbe essere la Chiesa e gli uomini di Chiesa, naturalmente sempre pensando che sono gli altri a dover cambiare; lui ci vede, nelle comunità e nella società, come credenti che sono preoccupati di guadagnare postazioni sempre migliori, raccomandazioni sempre più potenti anche nel piccolo mondo parrocchiale, e ci chiede ancora, con ironia «Che cosa volete che io faccia per voi?».
E tu Chiesa diocesana, cosa ti manca per essere una Chiesa ad immagine di Gesù? E tu, Rosario, cosa vuoi davvero dal Signore Gesù?
Mentre i due figli di Zebedeo, nel Vangelo, desiderano che la comunità sia finalizzata alla loro personale riuscita: vogliamo “la comunità per noi”, il Signore chiede invece un atteggiamento opposto, chiede una vera conversione: scegliere di essere “noi per la comunità”, imparando anche a soffrirne, se necessario. La sinodalità nella Chiesa, cioè il camminare insieme, non può che passare dall’offrirsi alla comunità ecclesiale, senza desiderare di servirsi di essa. Comprendiamo allora il senso della diaconia nella Chiesa, quello cioè di un servizio disinteressato e libero, che riguarda ogni compito e ogni ruolo nella comunità. E comprendiamo perché alcuni sono chiamati a farlo per sempre e totalmente.
Tu Rosario ricordarci, col tuo ministero diaconale, che ognuno di noi ha un servizio da offrire come battezzato; ricordaci quale sia il cambio di mentalità che, anche grazie a te, viene chiesto alla Chiesa: quella di essere una Chiesa che ama il servizio verso tutti, soprattutto ai più bisognosi di pane e di parola. Tu, dimostraci il valore di un capovolgimento di stile che fa venire le vertigini, cioè: più servirai, più sei grande; più sei grande e più ti metterai al servizio. Solo comprendendo chi è Gesù Servo, capiremo perché la Chiesa deve essere serva dell’umanità. Altrimenti rischiamo di amare solo le distorsioni e le alterazioni che si nascondono anche nel servizio.
Nella Chiesa non ci sono meriti di servizio che passano dall’anzianità, dalla carriera, dai privilegi o dagli onori acquisiti: occorre solo e sempre essere servi dei fratelli e delle sorelle, e basta! Il resto è apparenza o illusione, spesso simulazione o caricatura di un servizio. E vale dal primo all’ultimo dei battezzati.
Non c’è allora cammino sinodale, cioè insieme, se chi esercita un servizio non vince la tentazione di lavorare per sé. E non ci sarà mai sinodalità – nell’accezione che il Papa ci chiede di dare al nostro cammino, parlando di comunione, partecipazione e missione – se non lavorando per creare rapporti umani autentici e liberi, dove i sentimenti di accoglienza e di amore stanno al primo posto, anche quando questo comporta, per essere fedele a questo compito, il rischio di rimetterci la faccia e la carriera. E talvolta anche la vita. Bello, in questo senso, ricordare la testimonianza senza privilegi e senza potere, neanche quelli di difendersi, del martirio di Antonia Mesina e di padre Giovanni Antonio Solinas, prossimo beato della nostra Chiesa. Ma noi ci crediamo davvero che questi sono gli atteggiamenti per rinnovare la Chiesa?
Un cammino sinodale, prima ancora di elaborare dei documenti è un impegno a cambiare mentalità. Da parte di tutti.
Per il Vescovo esige mettersi in ascolto, più che esigere – tra l’altro non sempre con successo – di essere ascoltato. Per i sacerdoti si tratta di non essere tentati dalla logica del “qui comando io”, che rende impossibile la partecipazione dei fedeli, rischiando di rendere quest’ultimi solo manodopera.
Per i religiosi e le religiose, che prendono dolorosamente atto della loro crisi vocazionale, si tratta di ritrovare la creatività per ripensare a fondo i loro rispettivi carismi.
Per i laici e le laiche significa recuperare un ruolo di protagonisti nella comunità, senza essere solo frequentatori, più o meno assidui, di riti liturgici o, anche se impegnati, disponibili solo ad essere meri esecutori.
Invito tutti voi a scegliere di “esserci” dentro il cammino sinodale, che avrà i suoi tempi e le sue modalità, cogliendo ogni occasione per stimolare, incoraggiare, pungolare, persino criticare in modo costruttivo, proponendo alternative in ogni luogo possibile e a tutti i livelli possibili, vivendo però come amanti della Chiesa che cammina in questo tempo.
A voi laici, in particolare vi chiedo di assumere quel santo carisma di rompiscatole, che fa bene anche a noi ministri; l’importante è farlo sempre per il bene della comunità.
Riscopriamo insieme la bellezza di metterci in discussione, senza mascherare i segni di criticità, ascoltando anche le voci di coloro che, pur non essendo componenti della comunità ecclesiale, possono, col loro sguardo dall’esterno, dare un contributo importante a una corretta individuazione e definizione dei temi che riguardano tutti.
Abbiamo bisogno per questo di diaconi come te, Rosario, chiamato nella Chiesa non a una sottomissione cieca, ma a un’obbedienza che, come nella sua radice, significa “ascoltare profondamente”. Quest’attenzione intelligente ed esigente, sarà tanto più bella quanto più sarà in sintonia con quella dedizione alla causa del regno di Dio, alla quale tu, oggi, dichiari di aderirvi con le promesse di povertà, castità e obbedienza. Esse non sono dei legacci per renderti schiavo, ma scelte per essere più libero e più fedele nel servire la Chiesa e l’umanità, ad immagine dell’esemplare che hai scelto come tuo Maestro: Gesù, nostro Signore. Ti accompagni, in questo ministero Maria, madre di una Chiesa che vuole continuare ad avere, anche in questo tempo, un volto materno e solidale.
+ Antonello Mura