«Ha sete di Te l’anima mia»
«O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua»: sono le parole del Salmo 63 che, secondo monsignor Marcia, riassume il Vangelo della terza domenica di Quaresima, «è il nostro Salmo» – dice – commentando il testo che racconta l’incontro fra Gesù e la donna Samaritana presso il pozzo di Sicar.
“Molti Samaritani credettero in lui per la parola della donna […] molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: ‘Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo’”. Così si conclude il brano del Vangelo, da qui si è mossa la riflessione del Vescovo: «Mi piace come questi Samaritani sono arrivati al Cristo tramite una donna – ha detto. Noi non siamo molti, gli abitanti del quartiere sono molti di più, noi dobbiamo essere quella Samaritana che va in giro a dire “mi ha letto la vita, mi conosce, che sia davvero il Cristo?”. Ecco – ha proseguito – noi dobbiamo avere questa capacità». Una capacità che nasce nella quotidiana fatica della fede, «la Samaritana non andava a cercare l’acqua da bere ma altro, stava cercando l’amore, la fede. È la nostra fatica. Se noi non facciamo questa non riusciremo mai ad andare in giro a dire “mi ha letto la vita, che sia lui il Cristo?” Non riusciremo mai a far sì che altri si incontrino con il Signore, rischiamo di tenerci il Signore chiuso, nella nostra intimità e dire mi basta, no».
Gli stessi concetti del Vangelo tornano nella prima letche tura, tratta dall’Esodo. A metà del cammino di quarant’anni nel deserto, dopo vent’anni, il popolo d’Israele rimpiange ancora l’Egitto, la schiavitù, «rimpiange il passato: è la fatica della libertà – ha commentato monsignor Marcìa.
L’acqua, nei due brani, è di fatto «la salvezza che il Signore da a loro e a noi, JHWH al suo popolo, Gesù alla Samaritana: in realtà è il Signore che si fa trovare» – ha proseguito.
“Passa davanti al popolo […] Ecco, io starò davanti a te”, si legge ancora nel brano dell’Esodo: «Ci crediamo che il Signore è sempre davanti a noi? – ha domandato il Vescovo. Noi crediamo di essere soli, che tutto sommato non abbiamo bisogno di salvezza, oppure pensiamo di averne bisogno ma non ci crediamo, perché siamo uomini intelligenti, e con la nostra cultura troviamo tutte le soluzioni a tutti i problemi. Ma questa non è la salvezza. “Io sono davanti a te”, e non crediamo che se seguiamo lui non sbagliamo, ma siamo come il popolo d’Israele che rimpiange il suo passato. La sete della donna del Vangelo è quel desiderio profondo che l’uomo non può colmare, che solo Gesù può colmare. Di questo o ne siamo convinti noi o è inutile, se non ne siamo certi noi, io personalmente per me, non riusciremo mai a trovare il Signore» – ha detto ancora il Vescovo nel passaggio centrale della sua omelia.
Significativa, per questo, la domanda con cui si conclude la prima lettura, “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”, che tradotto nell’oggi risuona più o meno «Ci credi che il Signore è nella tua vita? Ci crediamo che il Signore è in mezzo a noi? Diciamo “ma…” e abbiamo mille scuse, infondo non ci crediamo che lui cammina in mezzo a noi, infondo non abbiamo quella sete della Samaritana, ci accontentiamo e quando non riusciamo ad accontentarci del presente rimpiangiamo il passato».
Ma guardare al passato, come guidare con lo sguardo rivolto allo specchietto retrovisore della propria auto, non permette di andare avanti: rimpiangendo l’Egitto non si potrà mai giungere alla terra promessa, «è quello che rischiamo se ci blocchiamo nel passato» – ha commentato monsignor Mosè. È una tentazione – ha detto rivolgendosi ai fedeli della parrocchia – che ho sentito anche tra voi, “il quando c’era…”, ma quel “quando” è passato, dobbiamo camminare oggi, è oggi che devo innamorarmi del Signore – ha esortato –, è oggi che al pozzo di Sicar devo incontrarmi con il Signore, io Samaritana che cerco la sua salvezza, che cerco la sua intimità. E se trovo lui allora mi basta, e devo domandare in giro “che sia davvero lui il Cristo?”».
Come il popolo senz’acqua, «sentiamo la fatica del vivere in grazia di Dio, di vivere la grazia di Dio, di vivere la nostra fede: ben venga il sentire la fatica altrimenti, come la Samaritana, non ci sposteremo verso il pozzo». Ecco allora risuonare le parole del Salmo 63, «dobbiamo prendere coscienza altrimenti non andiamo a cercare acqua, e anche accontentarci è accontentarci di un surrogato ma non del Cristo, non di Dio, è il cercare una falsa soddisfazione».
Quando nel dialogo con la donna Gesù dice “Va a chiamare tuo marito” sembra che la domanda non c’entri nulla con il discorso, ma ci fa capire come quella donna cercasse altrove quell’acqua viva. «E noi? Dov’è che noi vogliamo la nostra acqua viva? E questa è una domanda che ci possiamo porre, perché se noi siamo soddisfatti, siamo contenti, non ci mettiamo più alla ricerca. Quando ci rendiamo contro l’acqua è preziosa? Quando non c’è… Ecco Gesù dice “vai a vedere la tua vita, vai a vedere chi hai cercato tu, chi è la tua soddisfazione, dov’è la tua salvezza, dove l’hai posta?”. “Non ho marito” – dice la donna –, e quando si è sentita così scoperta si è fatta testimone del Cristo. Allora diventiamo per forza proclamatori, fuori e vediamo che la gente si accosta al Signore e ci dirà prima o poi “spostati” perché ho già incontrato io direttamente Dio, e l’ho incontrato non per le cose che tu mi hai detto ma perché l’ho esperimentato io. Certo che serve anche chi me lo dice…».
Ecco allora come tutti possono essere «un tramite per far capire che la salvezza viene solo da Lui».
Concludendo la Visita pastorale, monsignor Marcìa ha ancora voluto sottolineare gli incontri con le diverse realtà, in particolare le visite agli ammalati, «ho trovato fede vera » – ha detto. Alla comunità ha chiesto di potenziare il rapporto con il Signore, di vivere il desiderio di ricerca della Samaritana per essere capaci di proclamarlo anche fuori, «nel nostro vivere, nel nostro ambiente quotidiano, nell’ambiente di lavoro, dovunque noi siamo. Chiediamo al Signore in questa celebrazione – ha concluso – che possa davvero essere l’acqua della mia salvezza, che non andiamo a cercare altre fonti, altre pozzanghere, altre cisterne più o meno screpolate, dirà Ezechiele, ma che possa cercare Te acqua viva».
Al termine della celebrazione il grazie del parroco don Tonino Carta, al vescovo e ai sacerdoti concelebranti, il fratello Giovanni e i cappellani dell’ospedale don Bernardo e don Giovannino. (fra.co.)
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