La chiusura della Visita a San Domenico Savio

Vivere la dimensione dell’amore oltre le distanze e l’isolamento

 

La nostra è una vita seduta? Comoda? Il mio rapporto col Signore dipende dallo stile di vita che ho anziché fare in modo che lo stile di vita che ho dipenda dal mio rapporto con Dio. Il Vangelo della sesta domenica suggerisce al Vescovo, al termine della Visita pastorale nella parrocchia di San Domenico Savio, questa riflessione, che è insieme il richiamo a una verifica tutta personale sul proprio rapporto con Dio e con gli altri. Un richiamo valido tanto più perché giunto a una comunità che vive la fatica dell’isolamento, delle distanze date dalla conformazione di quartieri di nuova costruzione, senza dimenticare la drammatica situazione delle strade di accesso alle strutture della parrocchia, indegne. Ma occorre che questo non diventi una scusa per «vivere comodamente e dire “infondo mi sta bene così, perché disturbare il prossimo?”, senza vivere a pieno la dimensione dell’amore» – ha affermato monsignor Marcìa. Il messaggio della liturgia è riassunta dal Vescovo con poche parole, «mi pare di poter cogliere la volontà da parte del Signore – ha detto – di toglierci dalla mediocrità, quasi a dirci se vogliamo essere seguaci, cristiani, se vogliamo essere discepoli non possiamo vivere nella mediocrità ». Certo – ha proseguito – qualcuno potrebbe pensare leggendo il Vangelo, “sono parole di duemila anni fa, oggi la nostra cultura è diversa”, eppure il Signore viene a ricordarci “neppure una virgola passerà”. «A furia di aggiornarci con la nostra cultura, che pure deve progredire, andiamo avanti da un lato e restiamo retrogradi da un altro, rischiamo un po’ di vivere una vita un po’ strana », come un corpo incapace di svilupparsi in modo armonico, «noi con il nostro cristianesimo, con la nostra fede siamo un po’ così, ci sviluppiamo culturalmente, siamo cresciuti in tanti aspetti ma non abbiamo una crescita armonica della nostra fede per cui diciamo “quello sì ma questo no”, anziché adattare il nostro camminare alla dimensione di fede vogliamo l’inverso».
E se guardiamo il Vangelo, tutto il Vangelo – ha poi sottolineato – «c’è sempre il condizionale, “se”, è la nostra libertà, Dio ci lascia liberi. Se diciamo no significa che vogliamo vivere nella nostra mediocrità».
Monsignor Marcìa ha poi condiviso alcune impressioni sulla settimana appena trascorsa, come detto, «ho camminato nelle vostre strade – ha ricordato –, il parroco mi ha condotto attraverso le vostre case, ho seguito la vita spirituale, liturgica, cristiana di questa comunità per una settimana, non è il momento di trarre conclusione ma l’impressione è che forse le distanze, il tipo di struttura dei vari quartieri trasmettano un qualcosa simile al sentirsi dire “io sto bene qui, mi sta bene, perché devo disturbare il prossimo?”, in questo modo cadiamo in quello stile di mediocrità che la cultura e la società di oggi ci porta». Occorre allora tornare al Vangelo, fare in modo che la propria giustizia – come dice Gesù, «quella giustizia che è atto d’amore» – superi quella degli scribi e dei farisei, superi cioè quella di chi conosce la legge e di chi la osserva pedissequamente. Dunque «se la tua giustizia, se il tuo amore, se la tua capacità di amare, se la tua lunghezza d’onda dell’amore verso il prossimo e verso Dio non supera quella degli scribi e dei farisei, il Regno dei cieli non è per te. Il Signore – ha proseguito monsignor Marcìa – ci sta spingendo a non guardarmi semplicemente intorno, a non starmene in poltrona, ci sta spingendo a non essere uno seduto, uno comodo nella vita spirituale, perché questo comporta un rapporto con gli altri, per vivere nella carità». Da qui l’invito a verificare «se la nostra vita è davvero seduta, comoda e i miei rapporti con il Signore dipendono dallo stile di vita che ho anziché fare in modo che lo stile di vita che ho dipenda dal mio rapporto con Dio. Chiaramente è una verifica a livello molto personale, aggiungerei anche familiare, se siamo cristiani se siamo seguaci di Cristo, se siamo amanti del Cristo. Se la nostra fede è una fede che ci coinvolge nel nostro vivere comune o se la società in cui siamo inseriti mi fagocita come pensiero, come stile di vita, come modo di essere e di rapportarmi con gli altri. Credo che dovremo uscire dalla mediocrità».
Gli stessi concetti sono ben riassunti nella preghiera di Colletta: “O Dio che riveli la pienezza della legge nella giustizia nuova fondata sull’amore…”, «possiamo essere anche degli osservanti ma il nostro stile deve essere fondato sull’amore». E prosegue “Fa che il popolo cristiano radunato qui per offrirti il sacrificio sia coerente con le esigenze del Vangelo”: «Visto che in ogni famiglia c’è anche come dono della Visita pastorale – ha ricordato il Vescovo – riprendiamolo, facciamo un esame di coscienza se davvero il nostro stile di vita è coerente con quel testo, non pensiamo siano parole valide per duemila anni fa, no, è Parola di Dio, è parola per me oggi, è di una attualità unica, il perdonare, l’amare il prossimo non è qualcosa solo di duemila anni fa, la coerenza nella vita di coppia, l’amore coniugale, la fedeltà non è qualcosa di duemila anni fa, è di oggi. Tutto il Vangelo è per il mio oggi, non preclude una crescita del cammino culturale, tutt’altro».
La spinta al cambiamento, l’invito per la comunità è allora quello di camminare insieme, nonostante le fatiche nel camminare vicini come due sposi e nel farlo quando si è distanti: «Chiediamo al Signore a conclusione della Visita pastorale “Signore aumenta in me il senso della libertà, quel ‘se vuoi’, che sia davvero il mio comando verso me stesso, e soprattutto aiutami ad aver una giustizia superiore a scribi e farisei, una giustizia superiore a quella dell’osservanza pedissequa, fredda, metallica di una legge, aiutami a viverla con l’amore, con il cuore, con la dimensione di essere tuo figlio, famiglia tua accanto agli altri».
Il parroco don Gianluca, nel ringraziare il vescovo al termine della celebrazione, ha assunto l’impegno «a fare quello che ci ha chiesto e ci impegneremo volentieri – ha aggiunto – perché di questo ci ha dato l’esempio in questa settimana, cercheremo in tutti i modi di fare del nostro meglio, la ricorderemo nella preghiera lei faccia altrettanto».
Prima della benedizione monsignor Marcìa ha voluto aggiungere un altro pensiero, una ulteriore spinta: «Siamo tutti in cammino – ha detto –, aiutatevi l’uno con l’altro, aiutiamoci l’un l’altro. Essere Chiesa nel vero senso è bello, dobbiamo dirlo non tanto con le parole ma con i fatti, essere Chiesa, essere comunità di Dio, essere una comunità che respira con fatica è bello. Mi piacerebbe che tutta quella cagnara giovanile che c’è nell’oratorio – ha concluso ripensando all’incontro con i ragazzi – si respirasse come comunità di adulti, senza fare i bambini, quella gioia che nasce da una dimensione di essere comunità ». (fra.co.)

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