«Siate fermento di unità»
Una comunità accogliente e capace di creare unità, è quella che monsignor Marcìa ha trovato a La Caletta e che ha invitato con forza a conservare, potenziare e coltivare l’indole a essere strumento di comunione. Lo ha detto, monsignor Mosè, come dal punto di vista più spirituale, richiamandosi alle parole del Vangelo. Lo ha ribadito, al termine della celebrazione, don Stefano Paba, invitando i parrocchiani a vivere in piena comunione con la comunità di Posada secondo questa nuova modalità pastorale che richiede una sempre maggiore collaborazione tra sacerdote e laici.
«Siamo tutti invitati al banchetto di nozze», ha detto monsignor Marcìa nella sua omelia fissando lo sguardo sulle tre letture. «Fa poca meraviglia qui – ha commentato – questo invito del Signore, voi avete come abitudine, come vostra propensione quella di creare momenti in cui fare famiglia insieme ed è proprio il senso delle letture di oggi – ha sottolineato. Quando il Signore vuole comunicare la sua famiglia, quando vuole dire cosa è il Regno vuole sempre l’immagine del banchetto». È il messaggio della lettura di Isaia: «Vogliamo creare davvero famiglia? – ha domandato il Vescovo –, possiamo essere noi principio di questo nuovo germe per essere famiglia. In questi giorni di visita pastorale ho notato che voi ce l’avete nel sangue, il primo giorno che sono arrivato c’erano fuori un gruppo di bambini mai visti mi sono saltati addosso a salutarmi, a sbaciucchiarmi, ce l’avete nell’indole, per favore non perdetelo. Siate fermento, per voi, per il vostro ambiente, città, per questa zona, siate capaci di essere fermento di unità, di comunione. Se ce l’avete nella natura questo dono, conservatelo, potenziatelo, coltivatelo, non trascuratelo».
Anche nel Vangelo appare un banchetto, ma non è un banchetto qualunque, è un banchetto di nozze, una festa che il padre prepara per suo figlio. «Nel Nuovo testamento sappiamo chi è il padre e chi è il figlio – ha spiegato il Vescovo – in questa pagina però manca la sposa, non parla della sposa. A questo banchetto siamo invitati non per stare tra di noi ma per essere sposa del Cristo, siamo noi Chiesa la sposa».
Il brano indica anche come Gesù parli ai capi dei sacerdoti, a quelli che hanno responsabilità nella comunità, «una parola che è data a quelli più vicini, a noi che vogliamo essere più vicini, almeno come intenzione».
Il padre andò a chiamare gli invitati ma gli invitati non vollero andare al banchetto, «appaiono qui gli interessi personali di ciascuno – ha commentato monsignor Marcìa – chiediamoci: quali sono i nostri interessi? Questo dobbiamo rispondere davanti al Signore, quali sono i miei interessi che mi disturbano da partecipare al banchetto che Dio prepara per me sposa al matrimonio col suo figlio Cristo? Sono interessi che ci portiamo dentro, che ci distolgono, a noi che dovremo essere vicini, dall’avere centro Dio. Ricordate il primo comandamento, quando c’è un esame di coscienza sui comandamenti saltiamo sempre il primo, “Non avrai altro Dio”, ma se noi abbiamo altri dei, quegli interessi sono oggetto del nostro amore ma il Signore ci chiama ad avere lui come oggetto del nostro amore».
Qui entra in gioco la libertà, il Signore lascia liberi. C’è chi ha scelto liberamente di non partecipare al banchetto di nozze, ma il banchetto è pronto: «Quelli che voi avete tenuto fuori, nei crocicchi delle strade, i poveri, che non hanno nulla, quelli che riteniamo lontani, loro verranno. Ma anche quelli che entrano – ha proseguito – devono scegliere, la libertà è la base e dobbiamo usarla tant’è che tra questi ce n’è uno che liberamente si oppone e non vuole indossare l’abito nuziale, anche lui avrà lo stesso trattamento di chi non ha voluto accogliere l’invito».
Poi la frase finale di Gesù: “Molti sono chiamati, pochi eletti”. «Tra chiamati ed eletti non c’è differenza, entrambi devono usare la propria libertà. Ci sentiamo chiamati? Liberamente dobbiamo rispondere. Ci sentiamo eletti? Liberamente dobbiamo aderire. Siamo in gioco con la nostra libertà. Se questo Regno ci supera, supera le nostre debolezze, pensiamo come usiamo noi la libertà, come partecipiamo a questo banchetto che è per tutti i popoli. Non possiamo più avere una mente ristretta, dobbiamo pensare in grande».
Chiudendo la Visita pastorale il Vescovo ha invitato la comunità di Nostra Signora di Fatima a costruire unità: «Per disfare basta che ciascuno cerchi il proprio interesse e ce l’abbiamo fatta, anche come comunità, come quegli invitati. Se invece mettiamo come interesse del nostro essere Chiesa, essere sposa, allora no».
Dipende da ciascuno dunque partecipare a questo banchetto. Quando ci si mette a tavola con qualcuno ci si attiene al menù preparato, «il menù del banchetto celeste – ha detto il Vescovo – è solo uno: amore. Ce lo dice Paolo qual è il cibo ideale “tutto posso in colui che mi da forza”. Con il Signore posso fare davvero tutto». Un concetto reso ancora più forte dalla testimonianza di una vedova incontrata durante la settimana nella visita alle famiglie e agli ammalati: «Una vedova alla quale ho chiesto come stava sola mi ha risposto: “Grazie a Dio, con Dio si sta bene”. Dipende da noi». – ha concluso monsignor Marcìa.
Dopo il saluto finale di ringraziamento portato da Angela Pina Fiori a nome del Consiglio pastorale, l’amministratore parrocchiale don Stefano Paba ha voluto richiamare l’espressione utilizzata una settimana prima, al principio di questo evento ecclesiale, il lavorare nella vigna. Il ringraziamento al Vescovo «che – ha detto don Stefano – ci ha permesso di pesare il nostro essere Chiesa, essere Chiesa e comunione, di essere educati per la vita della fede in una pastorale eucaristica, con uno sguardo sui ragazzi, sui giovani, sugli ammalati, e un’azione sulle famiglie. In questa riflessione e agire ci ha permesso da un lato di promuovere, cogliere le ricchezze come l’affetto dei nostri ragazzi che subito si percepisce, dall’altro ci mette in un atteggiamento di apertura e accoglienza, come sentiamo la presenza di altri che non sono di qui e ci spinge a diventare anche in questa vigna punto di riferimento in questa zona, anche come santuario mariano». Infine, come detto, un cenno alla conduzione di due parrocchie: «questa può essere una opportunità oppure una occasione per chiuderci in noi stessi – ha detto don Paba. Vi chiedo di sostenere questa fatica tutti insieme che vale la pena fare e lo dico in base a quello che il Vescovo ci ha insegnato e ci ha proposto di fare. Continuiamo il nostro cammino». Un ringraziamento particolare, infine, a don Delogu e al diacono Pino Succu che non mancano di aiutare la comunità insieme ai laici. (fra. co.)
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