«Noi come Lazzaro, il Signore ci ama e ci chiama»
Sono le parole della liturgia della quinta domenica di Quaresima a guidare la riflessione di monsignor Mosè Marcìa al termine della settimana vissuta con la comunità del Sacro Cuore di Gesù, la parrocchia più grande della città, come ha ricordato il Vescovo: «Avete tante potenzialità e potete fare tanto, ma insieme » – ha esortato.
La pagina della risurrezione di Lazzaro, dunque. Idealmente l’omelia corre sui binari tracciati dal testo, con i suoi vari quadri e personaggi.
Anzitutto «il segno di Lazzaro afferma che Dio è sempre schierato per la difesa della vita. Questo è il culmine, l’apice ma se noi rileggiamo tutto il Vangelo – ha spiegato il Vescovo – vediamo che il Signore vuole la vita, difende la vita in tutte le sue forme, non solo in quella biologica. Il Signore vuole tutta la vita di tutto l’uomo, la vita interiore e va contro tutto ciò che è contrario alla dignità». E la morte, che sembra essere «l’unica, irriducibile nemica dell’uomo, può essere vinta in modo definitivo solo da Dio». Tutti dobbiamo morire ma mentre lo diciamo ci estraniamo, quasi a non crederci, perché siamo fatti per la vita: «Lazzaro risuscitato dovrà morire di nuovo – ha detto monsignor Marcìa –, Gesù che risorge non muore più ha vinto per sempre la morte ma tutta la morte, anche la morte del peccato, tutto quello che distrugge l’uomo il Signore l’ha vinto per sempre». È il modo migliore per entrare nella prossima Settimana Santa, nella quale «incontreremo Gesù che vince ogni tipo di morte. Se ci credessimo davvero… – ha come sospirato il Vescovo – se vivessimo in questo atto di fede dovremo gioire anche quando sentiamo il peso dell’assenza della vita».
Protagonisti del brano evangelico, seppur defilati, sono anche i discepoli. Gesù vuole tornare in Giudea, a rischio della vita, «c’è da parte loro quasi un lavarsene le mani, i dodici non vogliono andare a morire. Pensate quante volte – ha sottolineato il Vescovo –, come singoli e come comunità ce ne laviamo le mani, lasciamo fare ad altri, non rischiamo per non mettere a repentaglio noi, la nostra vita. I discepoli dicono a Gesù “quello che tu ami”, riferendosi a Lazzaro, non interessa loro che sia malato. Ma chi è questo Lazzaro? – ha chiesto monsignor Mosè: forse io? O la comunità?». Non è forse anche un’immagine della Chiesa? «La Chiesa è la sposa di Cristo, tante volte come Chiesa siamo malati. Nessuno di noi può estraniarsi dal suo essere Chiesa, siamo Chiesa, e quando diciamo “la Chiesa è malata”, sono io malato perché faccio parte di questa Chiesa e sono quel Lazzaro che il Signore ama».
Dopo la notizia della morte di Lazzaro ecco le parole di Gesù: “Io sono la risurrezione e la vita”. «Io-sono è l’espressione per dire Dio – ha spiegato il Vescovo –, è Dio la risurrezione e la vita, nessun’altra realtà. E allora, quando soffriamo come singoli e come comunità perché non rivolgersi al Signore?». Ecco ancora il parallelo con l’attualità, con la realtà della Chiesa di oggi: «Quando sentiamo il peso della nostra infermità, della nostra malattia, del nostro essere morti sentiamoci dire “Io sono la risurrezione”. Quando vediamo nella Chiesa degli scandali fastidiosi, terribili, alcuni imperdonabili, quante volte, in quei casi ci siamo sbucciate le ginocchia? Quante volte ci siamo rivolti al Cristo?» Ed è davanti a questa realtà che Gesù scoppia in pianto, come davanti a Lazzaro. «Gesù non è un indifferente alle fatiche che facciamo e viviamo – ha proseguito –, ma quando non ci rivolgiamo a lui, quando non lo percepiamo come risurrezione e vita lui piange, piange perché ci ama, perché ci vede morti, sepolti, perché non vogliamo noi vivere. Lui sa che siamo malati, sa che stiamo dormendo ma il nostro atteggiamento lo fa piangere».
Nel quadro successivo ecco le donne, Marta va da Gesù e lo rimprovera, Maria no, è in casa. Marta le dice “Il maestro è qui e ti chiama”, solo allora si muove, «Maria non va a chiedere la risurrezione di Lazzaro, si muove perché “ti chiama”. Gesù ci chiama, non facciamo solo la parte di Marta che protesta, Maria è chiamata, “Si alzò subito e andò da lui”».
Una chiamata, un grido è quello che rivolge Gesù a Lazzaro nella scena finale del brano. “Lazzaro, vieni fuori!”, dice a gran voce. «Tante volte – ha osservato il Vescovo – siamo noi a farci ribrezzo, ci sentiamo in decomposizione, non abbiamo più speranza e ci sentiamo dire “Lazzaro, vieni fuori”, non stare nella tua morte, vieni fuori, non stare nel tuo stato di abbandono, non stare a piangerti addosso. Gesù fa il miracolo ma vuole che lui esca fuori, chiede un impegno, come fece con il paralitico alla piscina di Betsaida». Gesù chiama, chiama per nome, «ci chiama per nome per venir fuori alla vita, per lasciare la mia morte, il mio errore, il mio peccato, quello che mi ha allontanato da lui, quello che mi rende puzzolente, e chiama per nome, è stupendo. E ci fa venir fuori dai posti più incredibili, più reconditi dove ci siamo cacciati noi, dai pasticci, dagli imbrogli dove ci siamo messi, con la nostra vita spirituale più o meno andante, con la fede più o meno traballante, “vieni fuori”, dice». Così ha fatto il buon pastore che è andato a cercare la pecorella e la trova lì dove si era smarrita, così «Gesù ci trova dove ci siamo abbandonati, la sua è una chiamata alla vita, alla vita di grazia, all’amicizia e all’intimità con Lui».
Oltre alla parola rivolta a Lazzaro c’è quella all’assemblea di amici, parenti, di quanti sono lì a piangere: “Liberatelo e lasciatelo andare”. Una parola forte anche per oggi: «Liberatelo dalle bende che gli avete messo addosso, da quel groviglio in cui l’avete cacciato, liberatelo, date la liquanto bertà, quanto è bello e quanta responsabilità abbiamo come comunità, come parrocchia che tante volte, nel nostro modo di agire, abbiamo legato gli altri» – ha commentato monsignor Marcìa.
Chiudendo la Visita pastorale il Vescovo ha voluto lasciare un canto di Lode al Signore, «Quanto sei grande Dio, quanto sei grande che sai piangere su di me, perché mi ami, perché ti sono amico, e vieni a liberarmi, vieni a trovarmi, vieni a darmi vita nel momento più cruciale, quando io ti ho abbandonato, quando io sono morto, quando non sento più l’esigenza di cercarti, perché non ho neanche le forze più di cercarti e tu vieni a trovarmi e mi incoraggi, per me piangi e mi dici “Lazzaro amico mio vieni fuori, cammina con me”. È il messaggio di questa Visita, Gesù ci dice “ti amo, piango per te, ma ti amo, tu vieni fuori e cammina”– ha concluso».
Nel suo saluto finale, il parroco don Piero Mula ha voluto «dire grazie al Signore e a monsignor Mosè» per questa settimana di semina, «il seminatore è il Vescovo che ha seminato a larghe mani la Parola di Dio nella nostra comunità, ai ragazzi ha donato lo Spirito Santo, ha seminato la Parola con i ragazzi del catechismo, gli educatori, gli ammalati che ha visitato, con le associazioni. Noi continuiamo a lavorare – ha proseguito –, il seme crescerà.
Di fronte alle tentazioni di fuga – ha detto ancora il parroco – noi offriamo la fedeltà del rimanere, solo se rimaniamo in Cristo possiamo portare frutto. Di fronte alla tentazione delle divisioni noi vogliamo offrire il dono del perdono e della riconciliazione e della comunione, di fronte alla apatia e stanchezza noi vogliamo offrire al Signore l’ardore di una testimonianza gioiosa che dona speranza, che si esprime nella carità, nel servizio della carità». (fra.co.)
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