Con lo sguardo fisso su Maria che ha perdonato ai piedi della croce
di Fabio Zavattaro
Una lampada illumina giorno e notte, per volere di san Giovanni Paolo II, l’icona della Salus populi romani, la Madonna con il bambino Gesù, dipinta, secondo la tradizione, da san Luca. Nella basilica di Santa Maria Maggiore, le note dell’antico inno mariano che definisce Maria madre di misericordia, del perdono, della speranza, della grazia, madre piena di santa letizia. È lei che, insieme a noi, si fa pellegrina per non lasciarci soli nel cammino della nostra vita, anche nei momenti di incertezza e di dolore, dice il Papa, nell’omelia alla Messa di apertura della Porta santa, la quinta aperta da Francesco.
E c’è un fil rouge che unisce queste diverse porte che il vescovo di Roma ha voluto aprire.
La prima è stata a Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana, una porta che possiamo chiamare della pace. Da Papa Francesco messaggio al continente, ferito da guerre e violenze, corruzione e povertà; una porta semplice per un messaggio di profondo cambiamento in un Paese che da anni non conosce vera pace. È il tempo del grande perdono, per il Papa. Ed ecco la porta di San Pietro, la Porta Santa per definizione in questo Giubileo straordinario della misericordia. E il Papa lo sottolinea ricordando che dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia, che chiede di abbandonare ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato. San Giovanni è la cattedrale di Roma e Papa Francesco ricorda che attraversare la Porta significa agire con giustizia, guardare alle necessità di quanti sono nel bisogno, essere strumenti di misericordia. Ed ecco la porta dell’ostello della Caritas, alla Stazione Termini di Roma: è la Porta della carità, invito concreto a guardare agli scartati della società, a coloro che sono meno fortunati.
E siamo così arrivati alla basilica liberiana, a quella Porta – Porta del perdono – che si apre verso la madre del Signore, colei che per “benignità”, scrive Dante nel trentatreesimo canto del Paradiso della Divina Commedia, non solo soccorre chi chiede aiuto, e qui si manifesta la sua misericordia, ma interviene “liberamente” ancora prima della richiesta, e qui si manifesta la sua pietà.
È dunque a Maria che Francesco rivolge il suo sguardo in questo tempo difficile, in cui si combatte una terza guerra mondiale a pezzi, e dove le minacce del terrorismo, le violenze e le sofferenze dei più poveri sono, si può dire, all’ordine del giorno.
Passare la Porta Santa della basilica liberiana è, dunque, messaggio che guarda a Maria, ma è anche sintesi di tutte le altre Porte aperte da Francesco. Perché il messaggio di fondo, che unisce tutti i temi affrontati dal Papa è proprio il perdono: “Spalanchiamo il nostro cuore alla gioia del perdono”, dice il vescovo di Roma, che ricorda: “La forza del perdono è il vero antidoto alla tristezza provocata dal rancore e dalla vendetta”, e alla mente torna il viaggio nella Repubblica Centroafricana. “Il perdono apre alla gioia e alla serenità” e libera il cuore “dai pensieri di morte”. Il perdono “rinnova la vita” e consente di “compiere di nuovo la volontà di Dio”.
Un perdono, ci dice Maria, che non conosce limiti, lei che ha perdonato ai piedi della croce: “Non può fermarlo la legge con i suoi cavilli, né la sapienza di questo mondo con le sue distinzioni”. Parola incompresa il perdono, afferma il Papa; ma è il frutto originale della fede cristiana, perché “solo chi ama veramente è in grado di giungere fino al perdono, dimenticando l’offesa ricevuta”. Passare sotto la Porta Santa diventa allora impegno a costruire un vero cambiamento, nel perdono, nella pace, nella riconciliazione, nell’attenzione all’altro, al povero, allo scartato. In quell’amare il prossimo che è il comandamento fondamentale del credente, guidati da Maria, madre di misericordia, di perdono, di speranza.
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