BITTI. Questo incantevole aprile, mese della Pasqua di Risurrezione, ci racconta la storia di un partigiano tornato a casa, Giorgio Joglieddu Sanna, caduto nel 1944 a Tolminski Lom in Slovenia, il 28 novembre, a soli vent’anni. Era nato a Bitti il 30 giugno 1924, diciannovenne fu mandato in guerra insieme a tanti altri giovani sardi “Pitzinnos Pastores Partigianos” ma una notte del gennaio ’44- come ha raccontato Natalino Piras – scappò dalla caserma di Villa Opicina a Trieste e divenne partigiano. Nome di battaglia “Varadda” combattè in Slovenia nella Brigata triestina d’assalto, una sezione della Brigata Garibaldi.
Il bersagliere ha cento penne e l’alpino ne ha una sola, il partigiano ne ha nessuna e sta sui monti a guerreggiare. Lassù sui monti vien giù la neve, la tormenta dell’inverno ma se venisse anche l’inferno il partigiano rimane là. Quando poi ferito cade non piangetelo dentro al cuore perché se libero un uomo muore non importa di morire – cantavano i “Csi” (Consorzio Suonatori Indipendenti) di Giovanni Lindo Ferretti. Non sappiamo tutto della sua vita, nè conosciamo i moti del suo animo, sappiamo della sua morte: una storia che si presta a vari livelli di lettura. Soprattutto è una storia di cristiana pietà. Non solo quella della devozione di Joglieddu che stringeva nelle mani una medaglietta con la Madonna donatagli dalla zia suora – anch’essa morta, nel 1943 – ma in particolare di chi, allora come oggi, ha dato a quel corpo una degna sepoltura. Anton Bavdaž, oggi ottaantottenne, raccolse Giorgio caduto sotto i colpi dell’artiglieria tedesca, lo caricò sul suo carro e lo portò al cimitero di Kanalski Lom dove il parroco Štanko Sarf ne scoprì l’identità. Grazie all’Anpi nuorese e ai suoi parenti oggi quella salma è rientrata a casa dove il Vescovo ha officiato il rito funebre, le spoglie mortali di Giorgio Sanna sono avvolte nel tricolore e nei Quattro mori di Sardegna. C’è emozione e commozione in paese, il picchetto d’onore della Brigata Sassari e la tromba che suona il Silenzio, sventolio di bandiere, nastri colorati nella piazza condivisa tra l’ufficio postale, la lapide dedicata ai caduti di tutte le guerre e in alto la chiesa di San Giorgio Martire.
Il Vescovo traccia un parallelo ardito tra il partigiano e il cristiano. Il primo, il partigiano, «è uno di parte, schierato, in piena libertà; è un combattente che non appartiene a un esercito regolare ma a un movimento di resistenza a qualcosa che non condivide; è uno che ingaggia una guerra strana, asimmetrica, nella quale non c’è proporzione fra le parti». Il secondo, «il cristiano, è anch’esso schierato, altrimenti sarebbe una canna al vento: per seguire Cristo bisogna essere schierati dalla sua parte; è anch’esso un combattente, appartiene al movimento di Cristo e ogni giorno combatte contro il male; è anch’esso uno che ingaggia una guerra che appare impari contro il male che ha dentro e fuori di sé». Un combattente è pure il cristiano che descrive San Paolo agli Efesini: rivestito dell’armatura di Dio ha i fianchi cinti della verità, sul capo l’elmo della salvezza, come corazza la giustizia, calzato dello zelo ha in mano lo scudo della Fede e la spada dello Spirito che è la parola di Dio; ingaggia la battaglia contro i principati e le potenze, contro gli spiriti del male.
«Nessuna prigione può esistere per lo Spirito e la Fede – ha detto il Vescovo -, la libertà è frutto di Risurrezione, il Signore risorto è la nostra speranza e certezza. Accettiamo da Giorgio – ha concluso – l’insegnamento a essere partigiani e combattenti. Cristo è con noi».
Il picchetto si schiera ancora, la processione con il feretro si snoda per le vie del paese fino al cimitero. Non c’è stata retorica, cattiveria, odio. Solo c’è un’aria di pace alla fine.
30 aprile 2014
© riproduzione riservata
Le immagini della giornata bittese
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