Don Roberto Biancu è sacerdote

Una pioggia di Grazie sotto il manto di Maria

 

Non poteva vederlo don Roberto, prostrato a terra nel canto delle Litanie dei Santi, ma in uno squarcio tra le nubi cariche di pioggia è comparso un arcobaleno: sì, il cielo ha parlato, con i suoi colori e con i suoi segni, con l’acqua che ha consolato i campi e che ha reso unica la Santa Messa sul sagrato della chiesa di Nostra Signora di Fatima. Una pioggia di Grazie, tra la costa e il mare, gocce che si sono mischiate alle lacrime, di gioia e commozione vera, e non poteva essere altrimenti quando – dopo l’imposizione delle mani da parte del Vescovo – don Roberto ha sentito le mani del fratello don Andrea sul suo capo. Rimarranno come le immagini più belle di questa serata i momenti in cui il fratello maggiore ha accompagnato con i propri gesti i passaggi centrali della celebrazione, come quando ha aiutato Roberto a indossare gli abiti sacerdotali o quando ha scambiato con lui l’abbraccio della pace. Una fraternità presbiterale vissuta anzitutto in casa e, naturalmente, con il clero diocesano che lo ha accolto. Tra tutti anche gli altri due novelli sacerdoti, don Emanuele Martini e don Giovanni Cossu, le cui mani posate sul capo dell’amico profumavano ancora di Sacro Crisma.
Il terzo e conclusivo atto dell’unica grande celebrazione iniziata il 26 agosto a Siniscola e proseguita l’8 settembre a Orgosolo si chiude a La Caletta per l’ordinazione di don Roberto, «terzo dono del Signore alla Chiesa di Nuoro», ha detto il Vescovo. Accanto a lui oltre al Vescovo emerito e ai sacerdoti e seminaristi della diocesi di Nuoro, da segnalare la rappresentanza della comunità del Seminario Giovanni XXIII di Bergamo guidata dal Rettore don Gustavo Bergamelli e la comunità sacerdotale di Sarnico che ha accompagnato don Roberto nel suo periodo di formazione. Un ricordo particolare per don Giuseppe Ruiu, la cui impronta resta indelebile nella memoria della comunità di Nostra Signora di Fatima e nella giovinezza dei fratelli Biancu. Così scriveva don Andrea il giorno della sua scomparsa: «Ogni buon sacerdote sa diffondere attorno a sé la carità pastorale, come ha insegnato Cristo con la sua vita e missione. Per me e per mio fratello Roberto è stato un maestro nel farci comprendere qual era e qual è la strada che dobbiamo percorrere: quella verso il sacerdozio. Le sue premure nei nostri confronti (prima come chierichetti e poi come seminaristi) sono state ri- con la nostra scelta di intraprendere il suo stesso cammino, che per me è giunto a compimento il 30 aprile 2011, giorno in cui, dopo il Vescovo, è stato tra i primi ad impormi le mani. Ora attendeva di vedere sacerdote anche Roberto, che lui stesso aveva battezzato e seguito nel percorso iniziale del seminario: sicuramente parteciperà alla gioia di quel giorno dal cielo». Così è stato. Viverla stretti sotto ombrelloni e gazebo l’ha resa ancor più intima. Quell’intimo che anche monsignor Marcìa ha voluto cercare pensando alla figura del sacerdote nell’ultima parte della sua “omelia in tre puntate”. «Il sacerdozio di Gesù – ha affermato –, vive sull’incarnazione: Dio, mandando Suo Figlio, non si separa ma si incarna, abbraccia l’umanità, abbraccia l’uomo». Così anche «il sacerdote alla maniera di Cristo ». E ha proseguito: «Vengono le vertigini, pensando e riflettendo a quali altezze Dio ci chiama! Un po’ di pane e un po’ di vino, nelle mani dell’uomo sacerdote diventano e sono presenza Sua, dono Suo e cibo Suo: “Prendete e mangiate, prendete e bevete”! cioè: Prendimi, mangiami, bevimi! Ci può essere dichiarazione d’amore che può spingersi oltre? Sì, c’è ancora di più, il Signore Gesù, pur di unire a sé il mondo per offrirlo con sé al Padre, dona il suo stesso donarsi!» È qui che trova spazio il sacerdozio di Roberto, Emanuele, Giovanni, «il Signore ci prende perché dobbiamo essere Sua presenza, Sua volontà di donarsi, ci consegna il Suo “io” nelle nostre labbra». Uomo carico di debolezze, il sacerdote è contemporaneamente «la persona più potente sulla terra», ha detto ancora rivolgendosi a Roberto: «Pronuncerai parole creatrici: “Io ti battezzo”; “Io ti assolvo”; “Questo è il mio corpo”; ma non dimenticarti mai che sarai anche l’uomo più povero, perché non sono tue neppure quelle parole! Capisci allora quanto è fuori luogo, per noi sacerdoti, dire la classica ridicola affermazione: “Lei non sa chi sono io” o, peggio ancora, “Lei ha dimenticato che qui il vescovo sono io, che qui il parroco sono io!”».
L’invito è quello ad essere uomini di fede, bisognosi di lasciarsi «coinvolgere nel parlare di Gesù con il Padre, nel Suo dialogo col Padre, nella preghiera!», sempre “connessi” – ha detto richiamando un passaggio dell’omelia a Orgosolo – al Signore Gesù.
Alla comunità dei fedeli il richiamo ad «essere buone pecore, e una sola cosa ci rende tali: la fede»; parafrasando Sant’Agostino, se ci sono buone pecore ci sono anche buoni pastori: «è questo – ha scandito il Vescovo – il nocciolo del problema vocazionale!» perché «il Signore chiama sempre ma se la comunità è un gregge sordo le chiamate cadono nel vuoto».
Uno sguardo finale a Maria, «vivi sempre con lei, – ha detto monsignor Marcìa rivolgendosi a Roberto – con il Suo affetto di madre ad accompagnarti sempre nella Sua Gioia. Ad Jesum per Mariam, e nei momenti difficili non dimenticare: Respice stellam, voca Mariam! Vivrai in modo integro la consegna che oggi la Chiesa ti dà». (fra. co.)

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