Alla luce del Natale del Signore vogliamo accogliere con particolare attenzione il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace 2019: La buona politica è al servizio della Pace. Oggi, anche nella nostra Regione, abbiamo bisogno di una buona politica che faccia crescere il lavoro, un «lavoro libero, creativo solidale e partecipativo». Un lavoro degno, che permetta ad ogni lavoratrice e lavoratore di tornare a casa ogni sera con la soddisfazione di aver guadagnato un pane dignitoso e di aver contribuito al progresso della società. Un lavoro che possa far crescere e consolidare la Pace, rispettoso della vita umana e della salvaguardia del creato, come abbiamo richiamato nel nostro messaggio di ottobre 2018, ad un anno dalla Settimana Sociale di Cagliari. La produzione e il commercio delle armi non contribuiscono certo alla Pace, anche se occupano molte persone e collocano in alto l’Italia nella classifica dei fabbricanti di armi. La Chiesa ha sempre sostenuto con fermezza che «la vendita e il traffico di armi costituiscono una seria minaccia per la Pace» (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 511). Nel mondo invece crescono sempre più le spese militari e si registrano ancora tanti “conflitti dimenticati”: lo scorso anno sono stati 378, sparsi in diverse parti del pianeta, di cui 20 classificati come guerre ad elevata intensità.
La gravissima situazione economico-sociale non può legittimare qualsiasi attività economica e produttiva, senza che se ne valuti responsabilmente la sostenibilità, la dignità e il rispetto dei diritti di ogni persona. In particolare non si può omologare la produzione di beni necessari per la vita con quella che sicuramente genera morte. Tale è il caso delle armi costruite nel nostro territorio regionale e usate per una guerra, che ha causato e continua a generare nello Yemen migliaia di morti, per la maggior parte civili inermi. Un business tragico che sembra non avere nessun colpevole, poiché i vari Paesi interessati si scaricano a vicenda le responsabilità. La questione diviene ancor più lacerante, sotto il profilo etico e socio-economico, poiché tale produzione avviene in un territorio, il nostro, tra i più poveri del Paese, ancora privo di prospettive per il lavoro. Cosi ai nostri operai si offre uno stipendio sicuro, ma essi devono subire l’inaccettabile per mancanza di alternative giuste e dignitose.
Scriveva il Servo di Dio don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, nella sua “Lettera al fratello che lavora in una fabbrica di armi”: «Certo, se io fossi coraggioso come Giovanni Paolo II, dovrei ripeterti le sue parole accorate: “Siano disertati i laboratori e le officine della morte per i laboratori della vita!”. Ma, a parte il debito di audacia, debbo riconoscere che il Papa si rivolgeva agli scienziati. I quali, di solito almeno economicamente, hanno più di una ruota di scorta. Tu invece ne sei privo. E anche le ruote necessarie, se non sono proprio forate, hanno le gomme troppo lisce perché tu possa permetterti manovre pericolose. Non ti esorto perciò, almeno per ora, a quella forte testimonianza profetica di pagare, con la perdita del posto di lavoro, il rifiuto di collaborare alla costruzione di strumenti di morte. Ma ti incoraggio a batterti perché si attui al più presto, e in termini perentori, la conversione dell’industria bellica in impianti civili, produttori di beni, atti a migliorare la qualità della vita. È un progetto che va portato avanti. Da te. Dai sindacati. Da tutti».
Sentiamo il dovere di dire no a tutto il business delle armi, in Sardegna e nel Paese intero. Chiediamo un serio sforzo per la riconversione di quelle realtà economiche che non rispettano lo spirito della nostra Costituzione (art. 11), del Trattato sul commercio delle armi dell’ONU del 2 aprile 2013 (Arms Trade Treaty – ATT), ratificato dall’Italia come primo Paese UE, e della legge italiana 185/1990, che proibisce esportazione e transito di armi «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani». È compito di tutti studiare con serietà, impegno e profondo senso di responsabilità la possibilità di un lavoro dignitoso per gli operai attualmente impegnati in tali attività. In questa direzione vogliamo sollecitare in ogni modo le migliori risorse della nostra terra: le Autorità istituzionali Comunali, Regionale e Nazionale, l’Università e la Scuola, il Mondo imprenditoriale, economico e della cultura, le associazioni dei Lavoratori, la Società civile in ogni sua componente. L’impegno per la riconversione delle industrie della morte non può essere solo il grido appassionato e sicuramente profetico di quanti sentono con particolare passione la necessità di coltivare la Pace. Può sembrare utopia, ma sappiamo che quando tale impegno è stato assunto da persone di buona volontà si è dimostrato realizzabile e fecondo. Come Chiesa dobbiamo e vogliamo lavorare soprattutto per la formazione delle coscienze e per ricordare a tutti il dovere del rispetto dei diritti di ogni uomo e di ogni donna, a qualunque Paese appartengano. C’è bisogno della preghiera e della responsabilità di tutta la comunità cristiana, c’è bisogno dell’impegno di ogni cittadino e di tutti i rappresentanti delle istituzioni cui stia veramente a cuore il bene comune.
Il messaggio di Papa Francesco per la LII Giornata Mondiale della Pace ci ricorda che la responsabilità politica appartiene ad ogni cittadino, e in particolare a chi ha ricevuto il mandato di prendersi cura del bene comune attraverso l’impegno nelle istituzioni. Questa missione consiste nel salvaguardare i diritti, rispettando i doveri nei confronti della giustizia sociale planetaria, e incoraggiando il dialogo tra gli attori della società, tra le generazioni e tra le culture: «Celebriamo in questi giorni il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata all’indomani del secondo conflitto mondiale. Ricordiamo in proposito l’osservazione del Papa San Giovanni XXIII: “Quando negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli”» (Pacem in Terris 24).
Siamo pertanto chiamati tutti a portare e ad annunciare la Pace come la buona notizia di un futuro dove ogni vivente verrà considerato nella sua dignità e nei suoi diritti.
Cagliari, 28 dicembre 2018
I Vescovi della Sardegna