Tutti abbiamo un grande desiderio, in questo tempo ancor di più: passare dallo smarrimento alla speranza. E la Pasqua è uno dei doni più grandi, più liberi e più gratuiti che il nostro cammino di uomini e di donne possa desiderare. Essa conosce il segreto per aprire un varco, cioè un passaggio dalla paura alla fiducia, richiamando le migliori risorse che abbiamo dentro di noi: cuore, intelligenza, passione… e fede.
Le celebrazioni della Settimana Santa – soprattutto il Triduo pasquale – costituiscono uno straordinario itinerario spirituale e umano per rinnovare il proprio cammino, la propria storia; la stessa storia dell’umanità.
Tutto inizia, secondo i racconti della Risurrezione di Gesù, dal giorno dopo il sabato. È il giorno dopo il dubbio e la perdita di orientamento, il giorno dopo la fuga, per paura della realtà.
Ogni discepolo della verità, tutti i ricercatori di senso hanno scoperto un giorno dopo, nel quale hanno ricominciato a credere e a sperare.
Tutti cercano, anche oggi, quel giorno dove si possa compiere il passaggio dal silenzio e dal dolore del Sabato Santo alla gioia della risurrezione.
Una pandemia “infinita” ha bisogno di un amore infinito, merita un Dio che nonostante tutto il male del mondo, del quale lui stesso è stato vittima innocente, continui ad avere un volto incredibilmente buono.
Sì, il primo scandalo da superare, per sperimentare la Pasqua, è quello di entrare in confidenza con un volto, quello di Dio, e scoprirlo che mi cerca, mi parla, perché è certo che abbia uno sguardo anche per me.
Vorrei essere suo commensale in quell’ultima cena, avventurarmi in una vicenda spirituale che mi porta a stare a tavola con lui, accettando tra discepolo e maestro una comunanza di destino e di ideali. E ascoltare ancora una volta, con un grande senso di pace le sue parole: «Voi siete coloro che avete perseverato con me nelle prove». E riconoscerlo e sceglierlo anche oggi, con quel volto affascinante e inquietante, come colui che non ha più parole da regalare, se non una, ultima, definitiva: quella del perdere la vita, segno più grande e gratuito dell’amore.
Questi sono i passi più costosi, ma con quel coraggio di libertà che è sempre da guadagnare per arrivare, passo dopo passo, a dare senso a ogni Venerdì Santo, interrogandosi su cosa significhi davvero vedere quell’uomo morire così. E scoprire in quel momento che la speranza – quella a radici grosse – non esiste senza lo smarrimento, così come si continua a sperimentare nelle famiglie e negli ospedali, ospitando contemporaneamente il silenzio e l’accoglienza del mistero della vita e della morte.
La liturgia del Venerdì mi guida a passare dal silenzio a una preghiera interminabile, universale, per i vicini, i lontani, i credenti e i non credenti, i cristiani e i non cristiani; per chi è nella prova, nella fatica, per i ministeri più differenti, per tutti. Perché il senso della preghiera è di non farla finire più di fronte a un volto che muore così, senza dimenticare nessuno. Nessuno!
Bisogna infatti raccontargli di tutti e dire il nome di tutti, la storia di tutti, la tragedia, la speranza di tutti.
Se uno muore così, di diritto diventa di tutti. E il giorno del Risorto diviene capace di generare una speranza incredibile, con parole tra le più belle e affascinanti: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5).
L’esperienza pasquale, ieri come oggi, viene affidata a discepoli fragili e a donne confuse dall’emozione e dalla gioia. Ma con il Risorto tutto ricomincia, e l’esperienza della fede, anche oggi, può scoperchiare una tomba e rivoltare una pietra che separa la morte dalla vita. Per un incontenibile desiderio di futuro e di speranza. Buona Pasqua!
+ Antonello Mura