Nella sezione video della home page del sito, è possibile guardare il lavoro realizzato da due detenuti di Badu ‘e Carros contro la violenza sulle donne. Di seguito proponiamo l’articolo apparso sul settimanale diocesano L’Ortobene che racconta la presentazione del video avvenuta alla Biblioteca Satta.
Un “silenzio assordante” è sceso giovedì 21 maggio a Nuoro nella sala della Biblioteca Satta durante la proiezione dello spot realizzato dal gruppo di approfondimento costituito dai detenuti nella casa circondariale di Badu ‘e Carros. Visi di donne oggetto di violenza hanno colpito i presenti lasciandoli ammutoliti per la forza del messaggio veicolato attraverso i segni inequivocabili e brutali sprigionati da quelle immagini. Sguardi fieri che accusavano, sguardi che nessuna violenza avrebbe mai potuto spegnere. Proprio “Silenzi assordanti” è il titolo del cortometraggio: Fidapa, Soropmist, Comitato per imprenditoria femminile, Soroptimist e l’Osservatorio carcere dell’Unione Camere Penali, hanno sostenuto il lavoro coordinato da Pietro Era, educatore di strada del Comune di Nuoro e responsabile della compagnia teatrale “Nuova Jobia” costituita a Badu è Carros.
Introducendo il dibattito Antonietta Cossu, presidente del Comitato per l’imprenditoria femminile della Camera di commercio, ha messo in evidenza l’importanza della sensibilizzazione e dell’acquisizione di una forte autocoscienza da parte di ognuno. Tutto nasce dalla speranza e dalla scommessa che le generazioni future possano cambiare, consapevoli degli errori commessi, errori che devono generare riflessioni, dubbi e domande per fare riflettere sulle cause che spingono un uomo a simili comportamenti e poter formulare delle risposte atte al conseguimento di reali soluzioni.
Secondo Gianfranco Oppo, Garante dei diritti dei detenuti, lo spot è poetico e lirico pur nella sua violenza. Proprio su questo ossimoro che genera una profonda emozione fra i presenti, si basa l’invito alla riflessione. I segni della violenza su quei visi femminili mette ancor più in evidenza l’orgoglio e la dolcezza dei loro sguardi, senza intaccare la dignità di essere donne nella consapevolezza che la loro esperienza possa servire da monito alle generazioni future. Oppo parla dell’importanza dell’affettività nelle carceri, affettività che non è sessualità ma un insieme di sentimenti, di passioni dove si organizzano e si intrecciano le pulsioni di tutto il genere umano. È dall’affettività che l’uomo trae tutta la sua vitalità.
Il carcere non deve essere un contenitore di corpi celati al mondo, il carcere deve formare, riscattare, così come la scuola istruisce ed educa, come l’ospedale diagnostica e cura. Occorre cambiare atteggiamento, porsi in maniera diversa di fronte agli ospiti dei penitenziari che per logica atavica vengono etichettati delinquenti nell’accezione più negativa perché c’è il rischio che se un delinquente viene trattato sempre come tale non diventerà mai un’altra persona e alla fine non potrà mai cambiare. Al contrario occorre trovare sempre la parte buona e sana in chi ha commesso un reato, non racchiuderlo in un’unica dimensione senza possibilità di riscatto perché questo ci porta inesorabilmente ad odiare “il diverso”. Il carcere è già una punizione – sottolinea il Garante dei detenuti – non necessariamente bisogna infliggerne altre per cui se crediamo nell’uomo occorre scardinare lo stereotipo del delinquente perché i problemi sociali non si risolvono con la pena pubblica o con altra violenza.
La politica e la società si devono interrogare sulle cause. La scuola, la famiglia e le istituzioni devono essere più presenti; occorre educare la società a non aver paura del detenuto perché anche da lui si può imparare, traendo insegnamento dalle esperienze negative che, se filtrate attraverso percorsi formativi, servono da monito alla società.
Molto toccanti gli interventi di Luigi e Vincenzo, ospiti della casa circondariale di Nuoro, testimoni in pubblico della loro esperienza di vita: visi sorridenti, positivi e propositivi, non si sottraggono alle puntuali domande dei partecipanti. Pur essendosi scontrati con devianze sociali di cui ne stanno pagando il conto, trasmettono una serenità interiore unita alla consapevolezza dell’errore che nonostante tutto li ha arricchiti, migliorati mediante un processo di maturazione per cui con dignità affrontano la vita in carcere nutrendosi di letture, di riflessioni, di incontri e confronti propositivi proiettati in una dimensione diversa, percorso che non intendono interrompere nella speranza di un domani migliore.
Parole di ringraziamento per tutti gli operatori sociali che li hanno sostenuti in questo percorso, per la direttrice della casa circondariale Carla Ciavarella a cui riconoscono l’impegno ed il merito di aver accolto proposte innovative e formative, per aver creduto che dal carcere potessero partire dei messaggi educativi e cognitivi mediante le dirette testimonianze delle realtà penitenziarie offerte da chi certi percorsi li ha fatti, perché anche ai detenuti arrivi la percezione di essere cittadini capaci di esprimersi e di rapportarsi con chiunque e per aver creduto che anche in quel luogo oscuro possano essere recuperate straordinarie risorse positive.
Dal pubblico a Luigi e Vincenzo, così come a tutto il gruppo di lavoro, è arrivato l’invito affinché possano istituire un corpo itinerante per sensibilizzare le classi portando il loro vissuto nelle scuole, affinché queste esperienze umane trapelino oltre le mura delle carceri e ricadano sul territorio. Intanto dai detenuti è arrivano un regalo prezioso, la forza di un messaggio contro la violenza sulle donne che da a “Silenzi assordanti” un doppio valore educativo.
Lucia Becchere
© riproduzione riservata