La “sensibilità ecclesiale” è “appropriarsi degli stessi sentimenti di Cristo, di umiltà, di compassione, di misericordia, di concretezza – la carità di Cristo è concreta – e di saggezza”. A tracciarne un identikit, a 360 gradi, è stato Papa Francesco, che nel suo terzo discorso ai vescovi italiani – pronunciato all’apertura della 68ma assemblea generale della Cei – in dieci minuti molto intensi ha spiegato come la “sensibilità ecclesiale” si sia “indebolita a causa del continuo confronto con gli enormi problemi mondiali e dalla crisi che non risparmia nemmeno la stessa identità cristiana ed ecclesiale”. E allora bisogna correre ai ripari, prendendo la parola contro la “corruzione privata e pubblica” e reagendo alle varie forme di “colonizzazione ideologica”. Per vincere la sfida, però, è decisivo il versante pastorale: i laici non hanno bisogno di “vescovi-pilota”, devono essere capaci di assumersi le loro “responsabilità” in tutti gli ambiti. Non servono convegni che “narcotizzano” le comunità, con documenti astrusi e incomprensibili, ci vogliono “collegialità e comunione” tra diocesi “ricche materialmente e vocazionalmente” e diocesi “in difficoltà”. Anche i monasteri e le congregazioni che invecchiano possono diventare “un esempio di mancanza di sensibilità ecclesiale”, se non si provvede ad “accorparli prima che sia tardi”. “È un problema mondiale”, ha detto il Papa a braccio. Appena arrivato nell’Aula del Sinodo, alle 16.20, ha salutato i vescovi “nominati recentemente” e i due nuovi cardinali, Menichelli e Montenegro. Non è mancata una battuta scherzosa, riferita al brano evangelico letto poco prima: “Quando leggo il Vangelo di Marco dico: ‘Questo Marco ce l’ha con la Maddalena, perché aveva ospitato sette demoni. E poi penso: ma io quanti ne ho ospitati? E rimango zitto”. Dopo il discorso, il Papa si è soffermato “a porte chiuse” con i vescovi per un dialogo fatto di domande e risposte.
Andare controcorrente. In un quadro “realisticamente poco confortante”, l’analisi del Papa, “la nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare controcorrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo Risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri”. “La nostra vocazione – ha spiegato Francesco citando Isaia – è ascoltare ciò che il Signore ci chiede: ‘Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio’”. “A noi viene chiesto di consolare, di aiutare, di incoraggiare, senza alcuna distinzione – ha proseguito – tutti i nostri fratelli oppressi sotto il peso delle loro croci, accompagnandoli, senza mai stancarci di operare per risollevarli con la forza che viene solo da Dio”. “È assai brutto incontrare un consacrato abbattuto, demotivato o spento: egli è come un pozzo secco dove la gente non trova acqua per dissetarsi”, ha ammonito: di qui la necessità di recuperare “la gioia del Vangelo, in questo momento storico ove spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti, da situazioni locali e internazionali che ci fanno sperimentare afflizione e tribolazione”.
No a “corruzione” e “colonizzazione ideologica”. La “sensibilità ecclesiale”, per Francesco, “comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi”. È la sensibilità ecclesiale che “come buoni pastori, ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana”.
Invito all’emancipazione. “I laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del vescovo Pastore!”. È un vero invito all’emancipazione quello del Papa, secondo il quale la sensibilità “ecclesiale e pastorale”, per Francesco, “si concretizza anche nel rinforzare l’indispensabile ruolo di laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono”. Anche nelle scelte e nei documenti pastorali “non deve prevalere l’aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro Popolo o al nostro Paese ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti: invece, dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili”.
La “collegialità” e i convegni che “narcotizzano”. “La sensibilità ecclesiale si rivela concretamente nella collegialità e nella comunione tra i vescovi e i loro sacerdoti; nella comunione tra i vescovi stessi; tra le diocesi ricche – materialmente e vocazionalmente – e quelle in difficoltà; tra le periferie e il centro; tra le Conferenze episcopali e i vescovi con il successore di Pietro”. È preciso e dettagliato, l’elenco del Papa, che ha denunciato “un diffuso indebolimento della collegialità, sia nella determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici economico-finanziari. Manca l’abitudine di verificare la recezione di programmi e l’attuazione dei progetti”. Ad esempio, “si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le comunità, omologando scelte, opinioni e persone”. “Perché si lasciano invecchiare così tanto gli Istituti religiosi, Monasteri, Congregazioni?”, l’altra domanda del Papa.
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