«Firenze è già oggi: è nel nostro Progetto Pastorale»
Firenze non sia un punto d’arrivo ma una tappa intermedia nel cammino della Chiesa. Il Vescovo Mosè ha le idee chiare riguardo al prossimo Convegno ecclesiale nazionale e sinteticamente le espone agli operatori di pastorale convenuti al Sacro Cuore per capire quali ricadute possa avere nella nostra realtà l’appuntamento di novembre. «È la nostra Chiesa di Nuoro rivolta verso Firenze, dobbiamo capire e affrontare i problemi della nostra Chiesa e camminare verso il Convegno, così come tocca a ogni Chiesa particolare, facendoci aiutare dalla Traccia preparatoria ma soprattutto dal nostro Progetto Pastorale» che nei suoi cinque obiettivi ritrova mirabilmente i cinque verbi che portano al Convegno – non era infatti ancora stato pubblicato il documento della Cei al momento della presentazione del Progetto.
La partecipazione dei presenti è stata favorita dallo stile dialogico dei relatori, i cui interventi sono stati moderati da don Alessandro Fadda.
Il Vescovo ha brevemente ripercorso la storia dei Convegni ecclesiali a partire da Roma 1976 fino a Verona 2006, passando per Loreto ’85 e Palermo ’95 per arrivare al tema del prossimo: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Il sito web della diocesi, come pure il settimanale diocesano L’Ortobene, hanno già dato conto del primo incontro in preparazione a Firenze, quello con monsignor Antonino Raspanti (vai all’articolo), ora è toccato ai delegati che partiranno da Nuoro alla volta della Toscana l’onere di presentare i cinque verbi che costituiscono i pilastri della Traccia preparatoria.
Il primo verbo è uscire. «Ci è chiesto innanzitutto di riscoprire un nuovo e vecchio umanesimo cristiano – ha esordito il dottor Alessandro Murgia. Dobbiamo uscire da su connottu, dall’utilitarismo, uscire dalla mentalità dello scarto così come nell’Apocalisse San Giovanni chiedeva alle sette chiese di abbandonare la mentalità imperiale. Occorre – ha proseguito – acquisire uno stile che ci caratterizzi, che ci renda desiderabili». Uscire dalle chiese significa per Murgia ricostruire la comunità in una rete di relazioni.
Il dottor Francesco Sanna ha sottolineato come i Convegni precedenti abbiano difettato in coinvolgimento, «oggi siamo qui – ha detto – per proporre e far conoscere, tutti sinodalmente partecipi». Altri di verbi sono annunciare ed educare, si rischia di imbattersi in grandi discorsi ma in realtà è opportuno chiedersi: «Come si annuncia la fede? Come sono i nostri percorsi educativi?
Si annuncia soprattutto con la testimonianza, con i gesti – ha sottolineato Sanna – le nostre comunità sono affidabili in questo senso? C’è ancora da fare per non rischiare di essere annunciatori di mestiere in una dimensione di proselitismo che è invece da rifuggere».
Questi due verbi esigono «autorevolezza, dialogo, comunicazione in una doppia dimensione personale e comunitaria, la Chiesa infatti educa alla socialità. Occorre ancora essere umili servitori, non protagonisti, usare misericordia e tenerezza. Le nostre comunità – ha concluso Sanna – educano così? Siamo in grado di proporci come annunciatori?»
Franco Murgia, che parteciperà al Convegno insieme alla moglie Maria Antonietta Mula, ha preso in esame il verbo abitare che significa anzitutto «essere Chiesa di popolo nelle trasformazioni del Paese, essere povera per i poveri, testimoniare il senso di comunità esprimendo solidarietà, coltivando relazioni. Qual’è la nostra umanità – ha chiesto Murgia – come esprimiamo attenzione all’altro, al prossimo? Quali spazi di incontro creiamo? Le nostre parrocchie sono aperte al territorio, lo abitano – appunto?».
È toccato infine alla professoressa Teresa Mattu declinare l’ultimo verbo, quello apparentemente più astratto: trasfigurare. È opportuno rifarsi all’icona biblica della giornata di Gesù a Cafarnao, dall’ascolto della Parola alla preghiera intima al Padre. «La preghiera ci trasfigura – ha affermato – ci fa ritrovare la nostra parte migliore. È così anche della vita liturgica comunitaria? La viviamo come corpo di Cristo? Viviamo la potenza dei sacramenti o consideriamo la Chiesa una fabbrica di sacramenti? Ci fermiamo al devozionismo? Quale legame c’è tra preghiera e vita? Che significato diamo alla domenica? Le nostre realtà sono realmente trasfigurate?»
Tante domande, quante provocazioni per chi ha voglia di prenderle sul serio. Il Vescovo e i delegati hanno offerto la loro disponibilità a dare un contributo per affrontare questi temi, «i consigli pastorali e i gruppi ecclesiali – ha infine auspicato il Vescovo – approfondiscano i temi della Traccia».
È lecito domandarsi quanto questo sia realisticamente possibile. I parroci sono disposti a convocare consigli pastorali con all’ordine del giorno l’agenda di Firenze – e quella di Nuoro, Progetto Pastorale alla mano? È anche solo pensabile che – rimodulando un poco le proprie attività – i Cursillos dedichino la loro Ultreya al Convegno, o le Comunità Neocatecumenali vivano la celebrazione della Parola sui verbi di Firenze, o che altrettanto faccia la Scuola di comunità di Comunione e Liberazione o gli Scout nelle loro riunioni, il Meg, la Milizia, l’Azione Cattolica, le francescane? O più semplicemente i sacerdoti hanno voglia di spendere il tempo insieme a gruppi e movimenti o con i loro giovani per prepararsi insieme al Convegno e vivere il Progetto Pastorale diocesano?
«Da soli si va più veloci – recita la massima – insieme si va più lontano».
f. c.
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