Pubblichiamo l’omelia pronunciata dal Vescovo Antonello alla Solenne Celebrazione Eucaristica nella Festa di San Francesco da lui presieduta nella Basilica Papale di San Francesco, chiesa superiore, il 4 ottobre.
Siamo lieti, come regione Sardegna, di rappresentare oggi tutta l’Italia offrendo l’olio per la lampada che arde sulla tomba di san Francesco. Lo siamo come popolo, con i suoi vescovi, presbiteri e diaconi, religiose e religiosi, seminaristi, e oltre un migliaio di pellegrini giunti dall’Isola. Lo siamo con i rappresentanti delle istituzioni regionali e comunali e, tra questi l’onorevole Alessandra Zedda, vicepresidente della Regione e il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, a cui è spettato il compito di accendere la lampada.
Siamo qui, felicemente, nonostante la pandemia sempre in agguato e, nonostante, la nostra sofferta insularità, con i problemi sociali che crea.
Siamo qui per rivisitare questi luoghi suggestivi, ma anche per condividere la nostra fede con coloro che li animano: il vescovo Domenico Sorrentino, i Ministri Generali e Provinciali delle famiglie francescane, con i loro fratelli religiosi e secolari. Con tutti loro siamo grati ai rappresentanti istituzionali e militari, al sindaco Stefania Proietti, e a chi rappresenta il Governo italiano, l’onorevole Marina Sereni, viceministro degli Esteri.
Tutto questo grazie a san Francesco! Solo nel pronunciarlo, questo nome, ci fa respirare spiritualmente la bellezza della santità universale, facendoci provare una ventata di freschezza che ci incoraggia con la sua limpida e affascinante testimonianza.
Mi chiedo: se San Francesco oggi tornasse, quale reazione avrebbe?
Mi chiedo se un moto di ribellione l’avrebbe manifestato verso i canoni sociali e religiosi, con i quali continuiamo a identificarci. E cosa avrebbe detto delle nostre contraddizioni, neanche troppo velate, del nostro camminare incerto, della nostra fede labile, che fa fatica a raccordarsi con la vita?
San Francesco non riesco ad immaginarlo senza il Vangelo, nel quale ha trovato il senso più profondo della sua vita, e il brano che oggi abbiamo proclamato ci aiuta a trovare qualche risposta.
“Ti benedico, Padre”. Sì, come Gesù, anche san Francesco ci ricorda che benedire è sempre più importante del maledire, più fruttuoso e necessario del lamento e della rassegnazione. E, in quel “Ti benedico”, c’è anche un altro riferimento: ti benedico, perché tu, Dio, hai rivelato ai piccoli la saggezza con la quale vivere, che invece non viene compresa dai cosiddetti sapienti e intelligenti.
Francesco, ad immagine di Gesù, ci aiuta a ribaltare i criteri sui quali costruiamo generalmente i rapporti umani e le scelte sociali, persino quelle culturali, perché la sua stessa vita è un’alternativa autentica al nostro modo di organizzarci, di pensare al presente e al futuro della società e della stessa Chiesa. Lui continua ad incoraggiarci, a ripetere parole e segni affinché li condividiamo con le persone provate dalla fatica di vivere, con quelle escluse dalla tavolata comune e dalle esperienze di fraternità: Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
C’è un gesto di Francesco che oggi non voglio dimenticare. Penso all’incontro con l’uomo lebbroso, che ci ripete ancora: “Voi lo escludete, io l’abbraccio!”.
Per questo mi chiedo con voi: quale posto occupano oggi i “piccoli” attorno a noi? Quali scelte possiamo compiere in nome di Cristo?
Piccolo che non è solo l’opposto di “grande”, ma soprattutto la condizione di un’esistenza – come quella del lebbroso – separata da tutti, perché posta a opportuna distanza dai nostri programmi personali e sociali.
Non saremmo qui a parlare di san Francesco senza questo episodio, in cui ci insegna ad amare e a scegliere i “piccoli” di ogni età, non solo perché in essi riconosciamo il Cristo, ma perché accettando la loro umanità, per quanto difficile e scomoda, accogliamo veramente l’umanità di Cristo e quella dei nostri fratelli e sorelle, qualunque sia la loro condizione. Che anzi, più è problematica e più merita attenzione e considerazione.
Scrive papa Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti, firmata proprio qui un anno fa, contrassegnata dalla genialità fraterna di san Francesco: «Certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti. In fondo, le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili» (n. 18).
La pandemia ci ha offerto esempi di abbracci che, pur non passando dal corpo, hanno evidenziato gesti di straordinaria umanità. Sono avvenuti con volti e sensibilità che hanno colorato di solidarietà le corsie degli ospedali e delle Case per anziani, così come i luoghi di incontro con la disabilità fisica e mentale e con i giovani e anziani smarriti e confusi.
Ma non basta. Troppi criteri: economici, finanziari, politici e sociali escludono persone, alle quali purtroppo non resta altro che gridare il distanziamento imposto loro, da chi decide le sorti della società.
Sono in tanti che ci vengono incontro, cercando l’abbraccio della fraternità: hanno problemi di salute o di futuro, vengono da vicino e da lontano, sono costretti ad elemosinare attenzioni perché tenuti fuori dall’agenda dei programmi da realizzare.
Come comunità ecclesiale, siamo chiamati a ricordare le parole della Lumen Gentium nel Concilio Vaticano II: “La Chiesa circonda di affettuosa cura quanti sono afflitti dall’umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si premura di sollevarne la indigenza e in loro intende servire Cristo” (n. 8).
Dio, in san Francesco ha rinnovato prospettive fraterne per l’umanità; con lui è possibile vivere in maniera differente le relazioni, la vita e la stessa creazione. Lui continua a dirci, ad immagine di Gesù, che il mondo e la Chiesa cambiano solo in un modo: riparandole, a condizione però che iniziamo da noi stessi.
Chiediamo al Signore Gesù e a sua madre Maria di lavorare sul nostro cuore in profondità, rendendolo libero e ricco di vera sapienza, capace di recuperare da San Francesco quei gesti che abbracciano la vita umana e la rendono più fraterna.
+ Antonello Mura
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