L’omelia pronunciata dal Vescovo alla Santa Messa in onore del Cristo Redentore sul Monte Ortobene il 29 agosto 2020
La parola di Dio scelta per oggi ci consegna molti elementi per dare un senso alla nostra festa, quest’anno certamente più sobria, ma anche così – come sempre – solenne, intensa e colorata.
Se non diventerete come bambini, dice però Gesù nel Vangelo, non potete capire. Lo ripeto a me e a voi oggi, facendo memoria di quanto avviene quando da piccoli gustiamo ogni particolare, ogni situazione con gli occhi liberi e stupiti.
Piccolezza e grandezza sembrano non incontrarsi
Mi sono immedesimato ad esempio con le sensazioni che prova un bambino quando si ritrova sotto la statua del Redentore. Piccolezza e grandezza sembrano non incontrarsi; le altezze, così diseguali, mettono soggezione e persino paura. Tutto sembra fatto per allontanare / distanziare piuttosto che per incontrarsi e credo, riportato nel campo della fede che sia l’esperienza che molti fanno, quella di un Dio lontano, inavvicinabile, fuori portata, che fa arrivare a una sola conclusione: ma lascia perdere!
Ma se davvero fosse così non saremo qui oggi a celebrare il Redentore, il Salvatore del mondo. Non saremo qui a dirci – questa è la nostra fede – che Dio può anche apparire come la statua su questo monte: maestosa e irraggiungibile ma se impariamo a conoscerlo scopriremo in realtà che è vicino, vicinissimo a noi, perché Gesù entra nella nostra vita dalla porta principale, quella della nostra umanità e nulla di noi gli è estraneo.
E Gesù continua a ripeterci: se non «diventerete come i bambini, non solo non entrerete nel Regno dei cieli» ma non capirete nulla, per questo diciamo oggi con fede – come bambini che continuano a stupirsi – che la sua venuta in mezzo a noi ha inaugurato un tempo di vicinanza che non è più venuta meno.
Vedo anche nell’opera di Vincenzo Jerace la raffigurazione di una presenza, del permanere nel tempo di ogni gesto e attenzione verso di noi, un accompagnamento costante che poi è il modo stesso con cui Dio, attraverso Gesù ci sta vicino.
Sono 120 anni che la statua ci osserva e viene osservata sull’Ortobene,
Vederlo così maestoso da lontano spero ci ricordi quindi la sua vicinanza e, vederlo innalzato, non ci allontani da lui, ma ci permetta di guardarlo con fiducia e, allo stesso tempo, in profondità.
E non è un caso che Uno così stia in alto, su un monte. Sono 120 anni che la statua ci osserva e viene osservata sull’Ortobene, sono oltre due millenni che Gesù è il Salvatore e il Redentore del mondo.
Mi piace pensare che anche la sua raffigurazione, che si staglia sulla città, ci porti ad immaginarlo come Colui che gioisce per il bello, il buono e il vero che costruiamo in pianura; Lui non riesce e non vuole girare lo sguardo da un’altra parte, così come non è mai tentato dall’indifferenza, perché – questo vale anche per noi – chi vuole salvare il mondo non può mai condannarlo.
Non dimentichiamo infatti che il Redentore è Cristo! Nessun altro ci guarda e ci osserva in questa maniera; nessuno, più di Lui, ha ampiezza di visione e altezza di cuore.
“Cristo, tu ci sei necessario!”
E con voi ripeto una bella espressione di una preghiera di papa Paolo VI: “Cristo, tu ci sei necessario!”, che è come dire: abbiamo necessità di un Redentore.
Alla sua altezza possiamo misurare anche le nostre bassezze e scoprirci senza paura fragili, deboli, bassi, senza perdere per questo il coraggio di camminare nella vita e nella fede, grazie a Lui.
Purtroppo, talvolta, non lo facciamo come dei bambini con ideali grandi, ma vogliamo apparire grandi continuando a fare scelte infantili.
Abbiamo bisogno, ad immagine di Gesù Redentore, di persone autentiche e di profili alti, in ogni campo. Non ci aiutano ne ci servono mezze figure, personalità dimezzate, così come non riusciamo ad apprezzare chi ha sguardi parziali, persino rasoterra.
Mettiamoci oggi nuovamente all’altezza del Redentore, dei suoi sguardi appassionati e profondi, dei suoi orizzonti vasti, prendiamo con lui la Croce non come un trofeo da esibire ma come un modo di amare e di servire.
Questo tempo merita l’investimento di nuove risorse di fede e di vita, persone che non scappino o che si racchiudano in recinti egoistici.
Ci salviamo insieme o non ci salviamo per nulla.
Questa stagione ci sta insegnando che, o ci salviamo insieme o non ci salviamo per nulla, e che non sono necessari i capi popolo o gli arrampicatori solitari, ma piuttosto che solo una rinnovata solidarietà e un patto nel nome più grande e più alto, ci aiuterà a recuperarci, a redimerci.
Gesù è il “Salvatore” (Lc 2,11) non di un solo popolo, ma dell’umanità intera, e non c’è alcun uomo che possa sentirsi escluso da questa salvezza, perché “il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).
Penso a questa città che sto imparando a scoprire più profondamente e vi dico subito che ho paura che Nuoro diventi triste e senza futuro, con il rischio che si abitui ad esserlo o, addirittura, si vanti di esserlo. Anche culturalmente chi si è intestata a volte arbitrariamente l’eredità di Grazia Deledda, Salvatore Satta o Sebastiano Satta sembra aver scelto solo la strada di stare in attesa, quasi aspettando – sulla riva del fiume – che passi il cadavere tanto atteso. A chi ha scelto questo criterio di vita chiedo, per rimparare ad amare questa città e questo territorio che la smetta di guardarsi l’ombelico, dimenticandosi tutto il resto del corpo.
Fuori di metafora questo significa non lasciarsi tentare dall’invidia e non scegliere come stile di vita di contrapporsi; ma che impari piuttosto a sentirsi comunità civile e religiosa, collaborando con le altre realtà presenti del territorio e cercando intese generatrici di unione e non di divisione.
La Chiesa diocesana sceglierà di scendere in campo, più che di stare in panchina.
La Chiesa diocesana vuole e intende fare la sua parte, non rimarrà in silenzio, non rimarrà ai margini, preferirà essere criticata che rimanere assente, sceglierà di scendere in campo, più che di stare in panchina.
È curioso tra l’altro che ogni tanto, purtroppo anche realmente, si gridi “al fuoco, al fuoco!”. A parte lo squallore degli attacchi ripetuti di anonimi incendiari alla nostra madre terra, permettetemi di applicare lo stesso grido ad altre realtà che ci circondano, delle quali ci accorgiamo solo al momento dell’allarme finale. Mi riferisco alla crescita delle dipendenze a causa dei giochi d’azzardo, delle droghe – coltivate come fossero gerani – e dall’alcol, sottovalutato nelle sue conseguenze negative. Dipendenze che stiamo archiviando con una disinvoltura che lascia interdetti, evitando di parlare su questi temi di emergenza educativa e di emergenza sociale, quale invece è. E dobbiamo, ripeto dobbiamo metterà il dito anche su altre piaghe che sono presenti tra noi, sempre con l’intenzione di non sopportare, anche come Chiesa l’indifferenza, piaghe delle quali si ha spesso vergogna di parlare: penso ad esempio ai disturbi mentali e ai suicidi troppo diffusi tra giovanissimi. Ne vogliamo finalmente parlare?
Anche in questo caso non basta gridare: “al fuoco, al fuoco!” quando il fuoco è già acceso. Bisogna pensarci prima, e questo vale per le famiglie, la scuola, le comunità civili e quelle parrocchiali. Per non parlare delle forze politiche le quali, per legittimare un presunto consenso, sotterrano questi temi dietro parole inconcludenti se non addirittura indifferenti. Se avviene così, dopo è inutile lamentarsi o palleggiarsi le responsabilità per ragioni che nulla hanno a che fare con la vita reale delle persone.
Questa pandemia non cambierà e non convertirà chi ha sete di guadagno.
Anche l’esperienza dell’epidemia ci sta insegnando non poco. Vedo gente giustamente irritata, soprattutto quella che si è comportata bene seguendo tutte le prescrizioni durante il lockdown ed oggi si ritrova, causa scelte inopportune, a subire incolpevolmente una nuova diffusione del virus. La scelta di pensare ai giovani – questo l’alibi di tante riaperture premature! – ha fatto dimenticare tutto il resto della comunità! Come se preoccuparsi del loro tempo libero debba escludere l’attenzione agli adulti e ad altri giovani che fanno ben altre scelte. Ho paura che anche questa pandemia non cambierà e non convertirà chi ha sete di guadagno, chi, in nome di un’economia egoistica – mai tramontata neanche in questa stagione – vuole solo incrementare ad ogni costo i propri scopi. E pazienza se poi i costi sociali ricadranno – quelli sì! – su tutta la comunità.
Io credo che il Redentore ci osserva tutti e continua a guardarci con fiducia. Questa città e questa Diocesi non perdano più il suo sguardo, recuperando in tutte le sue voci, religiose e civili l’accorata invocazione di un mio predecessore, Mons. Giuseppe Melas, quando disse: “Zustizia cherimus”. Quella giustizia che è tutto il contrario del “si salvi chi può”, tanto caro a esseri umani impauriti e a cittadini egoisti.
Il Redentore, con l’intercessione della sua e nostra Madre, la Vergine Maria, ci aiuti perché continuiamo a invocare e a cercare ciò che è giusto, vero e bello nella nostra vita personale e comunitaria.
“Vieni, buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo, perché tu ci sei davvero necessario” (Brecht).
+ Antonello Mura