Viviamo giorni nei quali è facile fare i conti con il sentimento della paura e con il pensiero della morte. Il coronavirus si è impossessato così prepotentemente di questo tempo, che anche il nostro linguaggio sta facendo esperienza di quanto non sia facile parlare di vita e di futuro. Brutto colpo per una generazione come la nostra che si era illusa di allontanare la paura della morte, rimuovendo e censurandone il pensiero.
Eppure, come sarebbe bello riconoscere – e molti lo stanno certamente sperimentando in questa stagione tormentata – che la paura ci abita, prende dimora nelle nostre case e nel nostro cuore. E lasciarsi così contagiare da Gesù, dalla sua vita, riscoprendo che anche lui di fronte alla morte ha provato turbamento. Nella Settimana Santa i Vangeli non ci negano infatti che Gesù, mentre si profilava la sua ora, senza nascondimenti né vergogna disse ai suoi: “Ora l’anima mia è turbata”. Alla vigilia della morte “cominciò a spaventarsi e a sentire angoscia”, fino a confessare, con tristezza: “Ora l’anima mia è triste fino alla morte” (Mc 14,33-34). Quel grido sulla croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46) continua oggi a rivivere nel morire di tante persone e nelle parole di molti disperati. Ancora una volta però la sua Pasqua diventa l’occasione per raccontarci la parabola più bella e più vera che si possa rivelare: quella del chicco di grano che, cadendo nella buia invisibilità della terra, proprio nella sua morte si apre al sussulto di nuovo germoglio. Un transito che inaugura una risposta di luce, e che fa arretrare la paura.
Che cos’è poi la Pasqua se non l’emergere di questa volontà di vita, della volontà di risurrezione, che Dio interpreta da sempre? Purtroppo in troppi ci hanno detto – spero non ci dicano più – che “volontà di Dio” è quella che passa da storie e da immagini di sofferenza e di morte. Ma questa sarebbe una verità senza cuore, oltre che senza fondamento. Confortante è invece risentire la dolce certezza che Gesù, senza ambiguità, racconta nel Vangelo secondo Giovanni: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato. Che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39).
La morte è sempre apparentemente vincente, ma come avviene in Gesù può essere sconfitta soltanto con l’amore. Gesù ha così amato che è risorto, perché un amore simile non poteva rimanere costretto in una tomba. L’amore non può stare in una tomba, perché “più forte della morte è l’amore”, come osa proclamare il Cantico dei Cantici. Nella sua Lettera, san Giovanni scrive: “Da questo sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1Gv 3,14).
Ultimamente come Diocesi abbiamo fatto esperienza drammatica della morte a causa dell’epidemia, ed è impossibile dimenticare due nostri sacerdoti, don Pietro e don Giovanni. Anche la loro dedizione, portata avanti fino alla fine, ci aiuta a riaffermare la convinzione che nessuno vive autenticamente se dice: “si salvi chi può”.
Solo se amiamo facciamo esperienza della forza della vita, quella che viene da Dio, quella che sa affrontare ogni paura e ogni sconfitta. Lasciarsi contagiare dalla sua volontà e dal suo amore ci fa transitare dalla morte alla vita. Anche in questo tempo. Buona Pasqua!
+ Antonello Mura
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